(massima n. 1)
In tema di arbitrato libero, l'avere le parti assegnato agli arbitri, all'esito di procedimento non formale, il potere di adottare decisioni secondo diritto non impugnabili comporta che il lodo così pronunciato è impugnabile soltanto se la decisione abbia ad oggetto rapporti diversi da quelli sottoposti al giudizio arbitrale, ovvero trovi fondamento in una regola di decisione difforme da quella assegnata (come l'equità o il diritto straniero). Ne consegue che l'eventuale malgoverno del diritto applicabile da parte del collegio arbitrale rappresenta nulla più di un abuso dei poteri conferiti agli arbitri, che non inficia neanche la riferibilità ai mandanti del decisum oggetto del lodo, posto che questi ultimi ebbero a conferire agli arbitri proprio il potere di dare contenuti giuridici non impugnabili alla loro stessa volontà negoziale. Error iuris non censurabile deve, peraltro, ritenersi quell'errore che impinge un'erronea valutazione della norma di diritto (che la natura negoziale dell'arbitrato fa ovviamente ritenere insindacabile da parte del giudice), e non anche l'errore percettivo di diritto (attinente alla erronea supposizione di esistenza o inesistenza di una norma, e la cui sindacabilità è, viceversa, correlata alla stessa rilevanza attribuita all'errore di fatto), che non vi è ragione di escludere dall'area dell'impugnativa per vizi della volontà, ad istanza e nell'interesse della parte, tutte le volte in cui l'ambito della decisione degli arbitri irrituali abbia investito la (erroneamente supposta e predicata) esistenza o inesistenza di una norma di diritto.