(massima n. 1)
Il conferimento, da parte di un ente pubblico, di un incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell'ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all'instaurazione di un rapporto di cosiddetta «parasubordinazione» — da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo — pur nella ipotesi in cui la collaborazione assuma carattere continuativo, ed il professionista riceva direttive ed istruzioni dall'ente, onde anche la successiva delibera di revoca dell'incarico riveste natura non autoritativa, ma di recesso contrattuale, con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice ordinario. Consegue, quanto alla fase anteriore alla costituzione del rapporto privatistico di lavoro autonomo, che, all'eventuale assenza di un formale procedimento amministrativo (ed a prescindere da eventuali profili — rilevanti sotto altro aspetto — di illegittimità dell'atto), si riconnette una scelta del contraente anch'essa permeata dei caratteri della vicenda soltanto privatistica, sicché i privati possono legittimamente invocare tutela delle proprie situazioni soggettive (quand'anche qualificabili non come diritti soggettivi perfetti, ma come interessi legittimi di diritto privato, così come avviene in tema di offerta o promessa al pubblico) dinanzi al giudice ordinario, restando la P.A. soggetta ai soli principi di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., in una scelta soggetta a valutazioni che ben potrebbero essere compiute da un privato committente. (Nel caso di specie, si trattava di un incarico conferito da un comune ad alcuni professionisti, per l'elaborazione di un piano regolatore, senza alcun inserimento dei predetti nell'organizzazione tecnica dell'ente, e senza la previsione di alcun procedimento amministrativo per il conferimento dell'incarico, ché anzi la giunta municipale, nelle relative deliberazioni, aveva fatto riferimento esclusivo a «criteri di esperienza e professionalità», che avrebbero dovuto determinare la scelta «a proprio ed insindacabile giudizio» — nell'esercizio, cioè, di una discrezionalità pura —. Impugnata la delibera di conferimento da parte di altri professionisti esclusi che vantavano titoli maggiori, e sospesa l'efficacia dell'atto dal Consiglio di Stato, il comune reiterava pedissequamente la delibera di nomina, previa revoca della precedente, ed il Consiglio di Stato rigettava, questa volta, l'istanza di sospensiva. La S.C., nel sancire il principio di diritto di cui in massima, ha risolto il conflitto di giurisdizione attribuendo la cognizione dell'intera vertenza al g.o., del quale ha affermato, nel de quo, la competenza giurisdizionale anche con riferimento alle controversie attinenti alle vicende preliminari alla conclusione del contratto d'opera con l'ente pubblico).