(massima n. 2)
È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24, comma secondo, Cost. e all'art. 6, comma terzo, lett. d) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 192 e 513 c.p.p., nella parte in cui esso consente al giudice di acquisire, in determinati casi, gli interrogatori resi dall'imputato di reato connesso al di fuori del contraddittorio delle parti, in quanto, dopo le sentenze n. 254 del 1992, nn. 60 e 381 del 1995 della Corte costituzionale, il testo dell'art. 513 c.p.p. rappresenta la norma base per il recupero dibattimentale di dichiarazioni rese precedentemente al fine di contemperare il rispetto del principio guida dell'oralità con l'esigenza di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede. (In motivazione, la S.C., nel sottolineare che, ai fini del profilo di legittimità costituzionale della norma in questione, appare del tutto irrilevante la circostanza che penda in Parlamento un disegno di modificazione legislativa di essa, ha affermato che le dichiarazioni rese nel quadro di cui all'art. 210 c.p.p. provengono da una posizione di inviolabilità di difesa e di garanzia posta ad esclusivo presidio del dichiarante e che, pertanto, esse sono sottoposte dalla legge al canone valutativo di cui all'art. 192, commi terzo e quarto, c.p.p., il quale non solo non consente, ma addirittura vieta al giudice di fondare il convincimento di responsabilità penale esclusivamente sulla chiamata in correità, imponendogli di valutarla unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità).