(massima n. 1)
In virtù di quanto disposto dall'art. 526 c.p.p., sono utilizzabili, ai fini della decisione, tutte le prove acquisite nel dibattimento, comprese quelle non assunte in dibattimento ma acquisite al fascicolo per il dibattimento: ed invero, la legittima acquisizione nel detto fascicolo comporta la utilizzabilità, ai fini probatori, degli atti così acquisiti. (Nella fattispecie, oggetto della contestazione era il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone cui all'art. 659 c.p., ed in dibattimento - celebrato in contumacia dell'imputato - il pretore, con il consenso del difensore e non essendo comparso il denunciante, aveva dato lettura della «querela» da cui aveva tratto prova per pronunciare sentenza di condanna. Avverso tale decisione aveva proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo la nullità della sentenza - per avere il pretore posto, quale prova a fondamento della sentenza di condanna, la sola «querela» - ed osservando che la lettura della querela «è consentita soltanto ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni di procedibilità, non potendosi ritenere valido il consenso dato dal difensore di ufficio alla lettura dell'atto». La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, in applicazione del principio di cui in massima, rilevando che, trattandosi di reato perseguibile di ufficio, l'atto in questione non poteva qualificarsi come «querela» ma doveva considerarsi una notizia di reato contenente dichiarazioni rese da persona informata dei fatti, per cui - non essendo comparso il denunziante - il pretore aveva correttamente disposto la lettura di tale atto, al cui inserimento nel fascicolo di ufficio il difensore non si era opposto, né nei termini di cui all'art. 491, comma secondo, c.p.p., né successivamente).