(massima n. 1)
Il Procuratore generale che abbia rilevato la diversità del fatto per mancata contestazione di un'aggravante ha la facoltà di proporre impugnazione avverso la relativa sentenza, benché emessa a seguito di giudizio svoltosi con il rito abbreviato, chiedendone l'annullamento per omessa contestazione dell'aggravante. Ne consegue che il giudice di appello (che ai sensi dell'art. 597 c.p.p. può dare al fatto una definizione giuridica diversa), ben può trasmettere gli atti con ordinanza al P.M. per la contestazione dell'aggravante ai sensi del secondo comma dell'art. 521 c.p.p. (norma, questa, applicabile anche nel giudizio di appello), non ostandovi alcuna disposizione ed in particolare la circostanza che il giudizio di primo grado sia stato definito con il rito abbreviato, posto che l'applicazione di quest'ultimo comporta solo il divieto di nuove acquisizioni probatorie ma non anche quello di dare al fatto una diversa definizione giuridica. (Nella specie, concernente un caso di omicidio volontario, il Procuratore generale aveva proposto impugnazione sul rilievo che non era stata contestata l'aggravante della premeditazione, la quale avrebbe comportato l'applicabilità della pena dell'ergastolo e, conseguentemente avrebbe precluso il ricorso al rito abbreviato, e il giudice di appello, ritenuta la configurabilità della detta aggravante, aveva disposto la trasmissione degli atti al P.M. per la sua contestazione).