(massima n. 1)
Qualora venga dedotta la violazione del principio di correlazione fra accusa contestata e sentenza, al fine di verificare se vi sia stata una trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito non soltanto va apprezzato in concreto se nella contestazione, considerata nella sua interezza, non siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, ma anche se una tale trasformazione, sostituzione o variazione abbia realmente inciso sul diritto di difesa dell'imputato, e cioè se egli si sia trovato o meno nella condizione concreta di potersi difendere. Sotto tali profili, tuttavia, non può ravvisarsi una non consentita immutazione qualora il fatto ritenuto in sentenza, ancorché diverso da quello contestato con l'imputazione, sia stato prospettato dallo stesso imputato quale elemento a sua discolpa ovvero per farne derivare, in via eventuale, una sua penale responsabilità per reato meno grave, giacché in tal caso l'imputato medesimo si è automaticamente investito della variazione del thema ed in relazione al diverso fatto ha apprestato le sue difese. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto inesistente la prospettata violazione del principio di correlazione in un caso in cui l'imputato, al quale era stato contestato il delitto di estorsione, aveva dedotto a sua difesa la sussistenza non di minacce bensì di artifici e raggiri, per cui era stato condannato per il diverso delitto di truffa).