(massima n. 1)
In tema di correlazione tra accusa e sentenza sia sotto la vigenza dell'art. 477 del codice di procedura penale che secondo quanto stabilito dall'art. 521 c.p.p. attuale, il giudice ben può attribuire una definizione giuridica diversa senza incorrere nella violazione dell'obbligo della correlazione, quando il fatto storico addebitato rimanga identico in riferimento al triplice elemento della condotta, dell'evento e dell'elemento psicologico dell'autore. Correttamente perciò, soddisfatte le condizioni indicate, il tribunale può condannare il soggetto tratto a giudizio per il reato di concussione, per il reato di abuso in atti d'ufficio, anche quando l'originaria contestazione sia stata formulata prima della modifica legislativa introdotta con la L. 26 aprile 1990 n. 86 che ha abrogato l'art. 324 c.p. e modificato la formulazione dell'art. 323 c.p. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che fosse arbitrario — perché in violazione della normativa sanitaria che impone al medico di utilizzare solo presidi sanitari autorizzati dal Ministero della sanità ovvero preventivamente assentiti dal direttore sanitario — il comportamento del medico che aveva applicato, dietro corrispettivo, ad un paziente ospedaliero, una capsula sottocutanea per perfusione di analgesici non sottoposta a registrazione e la cui commercializzazione non era stata autorizzata poiché la stessa deve essere considerata presidio medico chirurgico ai sensi dell'art. 189 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e art. 4 R.D. 6 dicembre 1928 n. 3112).