(massima n. 1)
In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, il difensore non ha un autonomo potere di opporsi all'accordo intervenuto tra di esse o di modificarne i termini, in quanto il suo ruolo si esaurisce nell'affiancare la parte privata ed assisterla nel corso della trattativa, a conclusione della quale viene redatta la richiesta portata al giudice che può dichiararsi d'accordo, recependola nel dispositivo, ovvero rifiutarla disponendo per il rito ordinario, in forza dei poteri, riconosciutigli dalla legge, di accertamento delle condizioni di legittimità del fatto intervenuto nonché di verifica della congruità della pena, come riconosciutigli dalla sentenza 2 luglio 1990, n. 313 della Corte cost. che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale «in parte qua» dell'art. 444 c.p.p. (Nella specie si è negato che potesse avere valore modificativo dell'accordo già intervenuto tra P.M. e imputato. La richiesta formulata dalla difesa prima della decisione di concessione dei doppi benefici di legge, sul rilievo che il diritto di libertà dell'imputato non potrebbe essere delegato ad alcuno se non mediante procura speciale).