(massima n. 1)
Dal disposto dell'art. 448, c.p.p. (che prevede che il giudice in primo grado o nel giudizio di impugnazione, quando ritiene ingiustificato il dissenso del P.M. e congrua la pena richiesta dall'imputato, pronuncia sentenza con la quale applica detta pena) scaturisce il principio secondo cui anche in sede di impugnazione deve essere comunque riconosciuto all'imputato che ne abbia fatto richiesta ex art. 444, comma primo, c.p.p., anche al di fuori del dissenso ingiustificato del P.M., il diritto alla riduzione di pena, quando il giudice riconosca che la richiesta era fondata sia in relazione alla qualifica del reato che alla pena da applicare. (Fattispecie in cui il giudice di primo grado non aveva accolto l'accordo delle parti ritenendo non corretta la qualificazione giuridica del fatto dalle stesse prospettata, mentre il giudice di appello aveva invece qualificato il reato e determinata la pena nello stesso modo previsto dall'accordo suddetto, riconoscendone implicitamente la validitą e la congruitą, ma non aveva provveduto ad applicare la riduzione di pena conseguente all'adozione del rito di cui all'art. 444 c.p.p.; la Cassazione ha censurato per tale ultimo aspetto la decisione del giudice di appello enunciando il principio di cui in massima).