(massima n. 2)
Nel procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie, secondo il combinato disposto degli artt. 660, secondo comma, c.p.p., 181 e 182 disp. att. c.p.p., il compito del pubblico ministero, nelle ipotesi in cui la procedura di recupero — cui è preposta istituzionalmente la cancelleria del giudice dell'esecuzione — abbia avuto esito negativo, consiste soltanto nel controllo formale dell'attività svolta dalla cancelleria predetta; pertanto, una volta ricevuti gli atti della procedura risoltasi negativamente, egli deve limitarsi ad accertare se le ragioni di tale esito diano luogo ad un'effettiva impossibilità di esazione della pena pecuniaria ovvero se risultino in qualche modo superabili, rivolgendosi quindi, nella prima ipotesi, come espressamente previsto dal secondo comma dell'art. 660 c.p.p., al magistrato di sorveglianza — cui è demandata l'attività di accertamento del passaggio della situazione fisiologica di insolvibilità per impossibilità a quella di insolvenza effettiva e concreta — perché provveda alla conversione della pena pecuniaria, previo accertamento dell'effettiva insolvibilità del condannato; ovvero restituendo gli atti, nella seconda, alla cancelleria del giudice dell'esecuzione che li aveva inviati, perché riprenda la procedura di riscossione. (Nella specie la Corte ha altresì precisato che il magistrato di sorveglianza al quale devono essere trasmessi gli atti nell'ipotesi in cui l'impossibilità di esazione riguardi un condannato irreperibile è quello del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, individuato ai sensi dell'art. 677, secondo comma, ultima parte, c.p.p.).