(massima n. 1)
In tema di misure cautelari reali, l'unico potere che sul meritum causae il giudice del riesame è legittimato ad esercitare si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio esclusivamente ove il tasso di tale difformità sia rilevabile ictu oculi e da impedire alla misura di perseguire il suo fine tipico mai grado comunque di essere realizzato, proprio per essere risultata impossibile, anche in ipotesi, ed indipendentemente dalla natura rebus sic stantibus della verifica, quanto addebitato all'inquisito. L'indicata preclusione vale però con riferimento alla verifica degli elementi di fatto e non pure di dati di qualificazione; una conclusione comprovata dal valore non vincolante delle statuizioni demandate al cosiddetto tribunale della libertà, sia ai fini del rinvio a giudizio sia (a maggior ragione) ai fini della decisione sul merito dell'accusa e che l'accertamento della fondatezza della notizia di reato rientra di sicuro — nell'ambito del controllo sulla fattispecie ipotizzata dal provvedimento impositivo della cautela — fra i compiti del giudice del procedimento incidentale, rappresentando una verifica che non divarica da quella relativa alla sussistenza del più volte richiamato fumus delicti, pure se sembra costituirne il logico presupposto. Nell'area di tale verifica è da ricomprendere anche la manifesta violazione di una disciplina complementare, soprattutto quando venga ipotizzata la commissione di un reato, come l'abuso di ufficio, in ordine al quale la presenza di elementi normativi rende indispensabile determinare se un dato precetto extra penale sia stato o non violato, ovvero sussista un vizio di tipo diverso, incidente sul provvedimento o sull'operazione amministrativa. Senza che ciò comporti alcun giudizio di valore, dato che il fumus delicti, presupposto ineludibile per l'applicazione della cautela, implica, per definizione, il riscontro dell'esistenza dei soli elementi descrittivi.