(massima n. 1)
Non implica immutazione del fatto il provvedimento del giudice del riesame che ritenga la sussistenza di gravi indizi relativamente al reato di cui all'art. 1, terzo comma, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, anziché in ordine al reato di riorganizzazione del disciolto partito fascista previsto dagli artt. 1 e 2 della L. 20 giugno 1952, n. 645 addebitato all'inquisito dal giudice per le indagini preliminari con riferimento ad attività di propaganda razzista. Razzismo è, infatti, nozione che indica le dottrine che postulano quale presupposto del divenire storico l'esistenza di razze superiori ed inferiori, le prime destinate al comando, le seconde alla sottomissione; alla stregua di tale definizione, dunque, la lettera e la ratio delle due leggi si identificano e le comuni proibizioni si dirigono entrambe ad impedire che le ideologie contenenti il germe della sopraffazione od enunciazioni filosofico-politico sociali (quali il primato delle razze superiori, la purezza della razza) conducano a discriminazioni aberranti, con il pericolo che ne derivi odio, violenza, persecuzione. Poiché, peraltro, l'applicazione del principio di sussidiarietà comporta esclusione dell'operatività della norma che commina sanzioni meno gravi (quella, cioè, prevista dalla L. n. 645 del 1952), onde evitare duplicità di incolpazioni per un'unica condotta finché è o resta applicabile la norma che commina una sanzione più grave (la norma, cioè, dettata dal D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla L. 25 giugno 1993, n. 205) questa, se ritenuta operante nel caso di specie, esaurendo il disvalore del fatto, col tutelare anche l'interesse protetto dall'altra, diviene l'unica in concreto applicabile.