(massima n. 1)
Il problema dell'inosservanza delle prescrizioni che rappresentano il contenuto delle singole misure cautelari è disciplinato, nel codice di rito vigente, dall'art. 276, il quale prevede la possibilità o del cumulo delle misure ovvero quella della sostituibilità di quella originariamente applicata con altra più grave, sicché la finalità di tale disposizione ha carattere tipicamente sanzionatorio, a differenza di quanto previsto nell'art. 299 c.p.p., ove la sostituzione della misura deriva esclusivamente da una diversa valutazione delle esigenze cautelari in riferimento alla personalità del soggetto. Pertanto, considerata la finalità della norma da applicare, il legislatore ha previsto, quali elementi di cui il giudice deve tenere conto all'atto della decisione, solo quelli relativi all'entità, motivi e circostanze della violazione: è pur vero che non può in ogni caso prescindersi dai criteri generali di cui all'art. 275 stesso codice, i quali valgono per ogni situazione e che debbono essere tenuti presenti anche nelle ipotesi di modificazione della misura cautelare, ma non può negarsi che il criterio dell'adeguatezza deve essere valutato soprattutto in riferimento al tipo di comportamento trasgressivo dell'imputato. (La S.C., nel rigettare il ricorso, ha osservato che è esatto, come rilevava l'imputato, che non può parlarsi di “automaticità” della trasformazione, dovendosi valutare la gravità dell'inadempimento ed i motivi dello stesso onde ritenere l'inconciliabilità della vecchia misura e l'adeguatezza della nuova, ma, nella specie, il Tribunale aveva fatto esatto uso dei criteri innanzi esposti, richiamando la ripetuta violazione dell'obbligo da parte dell'imputato senza alcuna spiegazione; dal che ha implicitamente ritenuto l'incapacità della misura a provvedere alle esigenze cautelari del caso).