(massima n. 1)
In tema di provvedimenti coercitivi, la ratio della limitazione al potere del giudice di scegliere la misura cautelare personale, introdotta dall'art. 5 L. 8 agosto 1995, n. 332, che ha modificato l'art. 275, comma 4, c.p.p., secondo cui non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo casi eccezionali, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, va individuata nell'avvertita esigenza di garantire ai figli l'assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e, soprattutto, psichica, qual è quello fino ai tre anni; con il superamento di tale limite di età può, infatti, considerarsi concluso il primo e più importante ciclo formativo ed aperto uno nuovo, nel quale le esigenze della prole possono essere soddisfatte da un qualsiasi altro congiunto ed, all'occorrenza, dai pubblici istituti a ciò deputati. Non è pertanto consentito interpretare estensivamente la norma fino a ricomprendere nel divieto ivi previsto ulteriori ipotesi, non espressamente contemplate, in cui si deduca la necessità, da parte dell'indagato, di prestare assistenza a familiari diversi da quelli indicati nella disposizione predetta. (In applicazione di detto principio la Corte ha ritenuto la legittimità del provvedimento con il quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, avanzata sul presupposto della necessità, da parte dell'indagato, di assistere un figlio portatore di handicap e perciò bisognevole di cure continue).