(massima n. 1)
In tema di misure cautelari, gli artt. 275 comma secondo e 299 comma secondo c.p.p. — in attuazione della direttiva impartita dall'art. 2 n. 59 della legge delega n. 81/1987 — stabiliscono che il giudice valuti la ragionevolezza del permanere della limitazione della libertà, in relazione al prevedibile risultato finale del processo. Il giudice, cioè, è richiesto di fare innanzitutto una previsione, provvisoria e circoscritta negli effetti, in ordine alla sanzione che potrà essere inflitta in caso di condanna. In secondo luogo, egli deve valutare se, tenuto conto della presumibile decisione finale e della durata che la misura cautelare ha già avuto, sia proporzionato (quindi ragionevole) il protrarsi della stessa. Naturalmente, il difetto di proporzione sarà tanto più certo, quanto più la specifica situazione risulterà prossima ai parametri indicati nell'art. 304 comma quarto c.p.p. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio ordinanza di rigetto, ex art. 310 c.p.p., secondo cui in sede di appello non si può emettere alcuna valutazione in merito all'ipotizzata entità della irroganda pena in continuazione tra i reati contestati nel procedimento in corso e in quelli per i quali era già intervenuto giudicato, essendo tale valutazione demandata al giudice del dibattimento ovvero al giudice dell'esecuzione).