(massima n. 1)
Ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. i «comportamenti o atti concreti» da prendere in esame quali elementi rivelatori della personalità dell'imputato ben possono essere desunti anche dalle sole «specifiche modalità e circostanze del fatto» per cui si procede, dovendosi la norma anzidetta interpretare conformemente alla logica complessiva di un sistema che risulta caratterizzato, fra l'altro, dalla presenza dell'art. 275, comma 2 bis c.p.p., in base al quale la custodia cautelare in carcere non può essere disposta quando il giudice ritiene che possa essere concessa la sospensione condizionale della pena; ipotesi, questa, per escludere la quale — legittimando quindi l'adozione dell'anzidetta misura — è sufficiente un giudizio prognostico negativo basato anche su uno solo degli elementi indicati nell'art. 133 c.p., ivi compreso quello di cui al n. 1 (nel quale, sostanzialmente, si esprime lo stesso concetto espresso nell'art. 274, comma 1, lett. C, c.p.p. con le parole «specifiche modalità e circostanze del fatto»); ragion per cui risulterebbe contraddittorio ammettere la possibilità di applicazione della più grave fra le misure cautelari sulla base del suindicato giudizio prognostico negativo per poi pretendere che a detta applicazione non possa tuttavia addivenirsi perché lo stesso elemento posto a fondamento di quel giudizio sarebbe da considerare insufficiente ai fini di un analogo giudizio prognostico previsto da altra norma con riguardo alla generalità delle misure cautelari personali, e perciò di quelle meno gravi della custodia in carcere.