(massima n. 1)
Ai fini dell'ammissibilità ed utilizzabilità delle intercettazioni tra presenti di cui all'ultimo comma dell'art. 266 c.p.p., la cella di un carcere non può essere considerata luogo di privata dimora, dovendosi intendere come tale quello adibito all'esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza turbativa da parte di estranei; deve cioè trattarsi di luoghi che assolvano attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che li posseggono, i quali sono titolari dello ius excludendi alios al fine di tutelare il diritto alla riservatezza nello svolgimento delle manifestazioni della vita privata della persona che l'art. 14 della Costituzione garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio. Alla stregua di tali principi è di intuitiva evidenza che la cella non è un luogo di privata dimora non essendo nel «possesso» dei detenuti ai quali non compete alcuno ius excludendi alios per essere, invece, nel possesso e nella completa disponibilità dell'amministrazione penitenziaria, che ne può disporre ad ogni ora del giorno e della notte per qualsiasi necessità.