(massima n. 1)
Una circostanza aggravante deve essere ritenuta, oltre che riconosciuta, anche come applicata, non solo allorquando nella realtà giuridica di un processo viene attivato il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando se ne tragga, ai sensi dell'art. 69 c.p., un altro degli effetti che le sono propri e cioè quello di paralizzare un'attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena irroganda per il reato. Invece non è da ritenere applicata l'aggravante solo allorquando, ancorché riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a cagione della prevalenza attribuita all'attenuante la quale non si limita a paralizzarla, ma la sopraffà, in modo che sul piano dell'afflittività sanzionatoria l'aggravante risulta tamquam non esset. (Nella fattispecie non è stato applicato l'indulto di cui al D.P.R. 394 del 1990 perché era stata ravvisata l'aggravante di cui all'art. 74 L. 22 dicembre 1975, n. 685, con concessione di attenuanti ritenute equivalenti, che escludeva l'applicabilità del beneficio stesso).