(massima n. 1)
Il genitore, autorizzato dal tribunale ai sensi dell'art. 320, quinto comma, c.c., alla continuazione dell'esercizio dell'impresa commerciale del minore, può compiere, senza necessità di specifica autorizzazione del giudice tutelare, anche i singoli atti strettamente collegati a tale esercizio, stante il carattere dinamico dell'impresa e la necessità di assumere decisioni pronte e tempestive, le quali sarebbero gravemente ostacolate, o addirittura paralizzate qualora, per ogni singolo atto, occorresse rivolgersi all'autorità giudiziaria; pertanto, non necessita di previa autorizzazione la stipula del contratto di apertura di credito bancario, essendo strumento fondamentale e presupposto per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, la quale non potrebbe svolgersi senza i fondi necessari. E, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 320, quinto comma, c.c., sollevata con riferimento all'art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza tra minore esercente e minore non esercente un'attività commerciale, dal momento che nel primo caso è prevista dalla legge una duplice autorizzazione (provvisoria da parte del giudice tutelare, definitiva da parte dei tribunale in composizione collegiale che, in detta sede, può controllare e valutare l'attività svolta dopo la prima autorizzazione) e che, in forza dell'art. 334 c.c., in ipotesi di cattiva amministrazione del patrimonio del minore, il tribunale per i minorenni può stabilire condizioni e prescrizioni ai genitori e, nei casi più gravi, rimuovere entrambi o uno di essi dall'amministrazione, come pure il curatore speciale esercente l'impresa.