(massima n. 3)
L'art. 3 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito con modifica in legge 12 luglio 1991, n. 203 («provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata») non pone limiti all'arresto fuori flagranza, che può sempre essere eseguito. È, quindi, irrilevante che esso sia effettuato a distanza di alcuni giorni dalla verifica da parte della polizia giudiziaria dell'allontanamento dagli arresti domiciliari. Esso è stato previsto, proprio perché il comportamento dell'evaso dimostra che sussiste - salvo casi eccezionali - il pericolo concreto di fuga e di reiterazione della condotta, come è dimostrato dalla previsione della possibilità di applicare la misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena stabiliti dall'art. 280 c.p.p. e, conseguentemente, di quelli attualmente stabiliti dall'art. 274 c.p.p., che, in subiecta materia, va letto unitariamente al dettato dell'art. 280 stesso. La statuizione di cui al menzionato art. 3 ha, d'altronde, una specifica finalità e, cioè, quella di assicurare che l'evaso sia nuovamente ristretto in carcere, pur se in precedenza agli arresti domiciliari, proprio per l'evidente presenza del suddetto pericolo di fuga. Soltanto nell'ipotesi di arresto in flagranza - che diversamente dal primo (fuori flagranza) consente l'introduzione del rito direttissimo - il soggetto è trattenuto nelle cosiddette camere di sicurezza. Anche in quest'ultimo caso, però, la finalità legislativa è concretamente conseguita per la sostanziale equiparabilità dei due mezzi di detenzione.