(massima n. 1)
Il figlio nato da madre coniugata, che abbia lo stato di figlio legittimo attribuitogli dall'atto di nascita (sussista o meno pure il possesso del relativo status), non può contestare la paternità legittima avvalendosi della disposizione di cui all'art. 248 c.c., in quanto tale norma non è concorrente con quella dettata in tema di disconoscimento della paternità e non può ad essa derogare, dato che configura un'azione con contenuto residuale, esperibile solo ove non siano previste e regolate altre azioni di contestazione della legittimità. Ne deriva che, per rimuovere la presunzione di concepimento durante il matrimonio, deve avvalersi dell'azione di disconoscimento della paternità anche il figlio che sia nato decorsi trecento giorni dall'omologazione della separazione consensuale (o dalla pronuncia di separazione giudiziale) in epoca in cui era vigente il vecchio testo dell'art. 232 c.c., poiché tale ipotesi, pur non essendo contemplata dalla legge del tempo tra le cause di esclusione della richiamata presunzione, è riconducibile, per effetto della disposizione transitoria di cui all'art. 229 della L. n. 151 del 1975, al disconoscimento del rapporto di filiazione per mancata coabitazione, ex art. 235, comma 1, n. 1, c.c. (che, nella specie, l'interessato avrebbe potuto e dovuto promuovere nel termine fissato dalla riferita disposizione transitoria).