(massima n. 1)
In tema di prova documentale, l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia. Ne consegue che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all'originale ai sensi dell'art. 215, n. 2 c.p.c., se la parte comparsa contro cui è stata prodotta, non la disconosce in modo formale e specifico nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (nella specie, il giudice di merito aveva respinto la domanda di rimborso di somme pagate a titolo di tassa di concessione governativa asseritamente non dovute, in quanto l'attore, a sostegno della propria pretesa, aveva prodotto soltanto documenti fotocopiati e non gli originali, benché l'amministrazione convenuta avesse contestato solo genericamente la documentazione prodotta in fotocopia).