(massima n. 1)
In tema di assegno di mantenimento, la disposizione legislativa di cui all'art. 156 c.c., per effetto della quale il giudice può dispone, nel caso in cui eventuali terzi risultino obbligati a versare (anche periodicamente) somme di danaro al coniuge onerato dell'assegno, che «una parte» di tali somme venga versata direttamente all'avente diritto, non può essere interpretata nel senso che un tale ordine debba indefettibilmente avere ad oggetto solo una parte delle somme dovute dal terzo, quale che in concreto ne sia la misura e quale che, in concreto, sia l'importo dell'assegno di mantenimento, bensì nel senso (ed in armonia con il più ampio «blocco» normativo costituito, in subiecta materia, dagli artt. 148 e ss. c.c., dall'art. 8 della legge sul divorzio, dagli artt. 3 e 30 della Costituzione) che il giudice possa legittimamente dispone il pagamento diretto dell'intera somma dovuta dal terzo, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l'assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge beneficiario. (Fattispecie nella quale al terzo datore di lavoro del coniuge obbligato, tenuto a corrispondere a quest'ultimo una retribuzione pari ad un milione di lire, era stato ordinato di versare l'intero importo al coniuge avente diritto, e fino a concorrenza della somma di lire 2.400.000, che costituiva l'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione giudiziale).