Cassazione civile Sez. I sentenza n. 11361 del 11 ottobre 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

Così come la dichiarazione di fallimento di una società, se priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), non comporta di per sé alcuna alterazione dell'organizzazione sociale, i cui organi restano in funzione, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento, analogamente la chiusura del fallimento fa venir meno lo «spossessamento» della società fallita, con il conseguente riacquisto da parte sua della libera disponibilità dei beni (art. 120 l. fall.) e non comporta invece l'estinzione della società, in coerenza del resto con il principio secondo cui la società non può ritenersi estinta neanche a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese, fin quando sono pendenti rapporti giuridici o contestazioni giudiziarie. (Nella specie la questione era rilevante per stabilire se, in un giudizio diretto a far valere la simulazione di alcuni contratti, era concretamente operativa la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di società di capitali che era stata parte dei contratti stessi).

(massima n. 2)

Poiché l'estinzione del giudizio per inattività delle parti può essere dichiarata solo se eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa, come espressamente prevede l'art. 307, quarto comma, c.p.c. così come novellato dalla L. n. 581 del 1950, in difetto di tale tempestiva eccezione l'estinzione non può essere dichiarata neanche quando si verifichi la mancata ottemperanza all'ordine del giudice di integrare il contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario; né, in tal caso, nell'impossibilità di dar luogo alla dichiarazione di estinzione del processo, deve comunque dichiararsi l'improseguibilità del medesimo, poiché, quanto meno riguardo alle azioni non costitutive, la sentenza emessa a contraddittorio non integro non può ritenersi inutiliter data (vale a dire totalmente priva di effetti anche per i soggetti partecipanti al giudizio), dato che secondo il diritto positivo il vizio in esame non è enumerato tra quelli che non sopravvivono alla formazione del giudicato (artt. 161, secondo comma; 327, secondo comma; 362, secondo comma, c.p.c.). (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto ritualmente deciso nel merito in giudizio diretto a far valere la simulazione di alcuni contratti, benché fosse rimasto ineseguito l'ordine giudiziale di integrare il contraddittorio nei confronti di una delle parti di tali contratti).

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