(massima n. 1)
Il lavoro a domicilio realizza una forma di decentramento produttivo, in cui l'oggetto della prestazione del lavoratore assume rilievo non già come risultato, ma come estrinsecazione di energie lavorative, resa in maniera continuativa all'esterno dell'azienda, e però organizzata ed utilizzata in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all'interno di essa, e, correlativamente, il vincolo di subordinazione viene a configurarsi come inserimento dell'attività del lavoratore nel ciclo produttivo aziendale, del quale la prestazione lavorativa da lui resa, pur se in ambienti esterni all'azienda e con mezzi ed attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed even-tualmente anche con l'ausilio dei suoi familiari, purché conviventi e a carico, diventa elemento integrativo (cosiddetta subordinazione tecnica). Né valgono, di per sè, ad escludere la configurabilità del suddetto tipo di rapporto l'iscrizione del prestatore di lavoro all'albo delle imprese artigiane (in quanto ad una iscrizione formale, priva di valore costitutivo, può non corrispondere l'effettiva esplicazione di attività lavorativa autonoma) ovvero l'emissione di fatture per il pagamento delle prestazioni lavorative eseguite (potendo tale formalità essere finalizzata proprio alla elusione della normativa legale surrichiamata), oppure la circostanza che il lavoratore svolga la sua attività per una pluralità di committenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto sussistente — con motivazione immune da vizi logici e giuridici — il rapporto di lavoro subordinato di due lavoratrici a domicilio «carteggiatrici» di mobili sulla base della loro sottoposizione alle direttive date dalla società, dell'inserimento di esse nel ciclo produttivo della società stessa, dei non alto contenuto professionale delle loro prestazioni; delle emissione sistematica e periodica di fatture da parte delle lavoratrici a scadenza mensile e sempre alla fine del mese.).