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Articolo 746 bis Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 30/11/2024]

Disposizioni generali

Dispositivo dell'art. 746 bis Codice di procedura penale

1. Salve le disposizioni speciali in materia di conflitti di giurisdizione con le autorità giudiziarie degli Stati membri dell'Unione europea, possono essere disposti, quando previsto dalle convenzioni internazionali, sia il trasferimento del procedimento penale in favore dell'autorità giudiziaria di altro Stato perché essa proceda che l'assunzione, nello Stato, del procedimento penale pendente davanti all'autorità giudiziaria di Stato estero.

2. Il trasferimento del procedimento penale o la sua assunzione sono disposti fino a quando non sia esercitata l'azione penale.

3. Il trasferimento è disposto in favore dell'autorità giudiziaria di altro Stato che presenti più stretti legami territoriali con il fatto per il quale si procede o con le fonti di prova. Ai fini della decisione si tiene conto dei seguenti criteri:

  1. a) luogo in cui è avvenuta la maggior parte dell'azione, dell'omissione o dell'evento;
  2. b) luogo in cui si è verificata la maggior parte delle conseguenze dannose;
  3. c) luogo in cui si trovano il maggior numero di persone offese, di testimoni o delle fonti di prova;
  4. d) impossibilità di procedere ad estradizione dell'indagato che ha trovato rifugio nello Stato richiesto;
  5. e) luogo in cui risiede, dimora, è domiciliato ovvero si trova l'indagato.

Spiegazione dell'art. 746 bis Codice di procedura penale

L’istituto del trasferimento dei procedimenti penali rappresenta una rilevante novità al nostro sistema processuale, inserito al fine di prevenire eventuali conflitti di giurisdizione e di evitare la violazione del principio del ne bis in idem. La formulazione lessicale indica un fenomeno per il quale, allorquando un soggetto sia imputato di un reato e ci si trovi dinanzi ad una situazione in cui rilevano elementi diversamente orientati a strutturare la competenza giurisdizionale di una pluralità di Stati, si attribuisce valore preminente ad uno o più di essi, in modo da giustificare la competenza di un solo Stato nel cui ambito territoriale si svolgerà il giudizio, con la contestuale rinuncia degli altri a procedere.

Il trasferimento contribuisce dunque a realizzare, pur nella riconosciuta assenza della unicità di un criterio di designazione del giudice competente, un obiettivo politico e giuridico di grande rilevanza, ovvero l’introduzione del principio del ne bis in idem a livello internazionale.


Nella norma in esame vi è innanzitutto una iniziale clausola di salvezza finalizzata a preservare l’applicazione delle disposizioni speciali in materia di conflitti di giurisdizione con le autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione europea, distinguendo, in tal modo, le regole che specificamente presidiano i meccanismi di trasferimento e di assunzione dei procedimenti all’interno dello spazio territoriale europeo di libertà, sicurezza e giustizia dal quadro normativo applicabile invece nei rapporti con Stati diversi da quelli che aderiscono all’UE: per tali evenienze, infatti, la norma rinvia alle pertinenti disposizioni previste dalle convenzioni internazionali, introducendo però una parziale deroga al principio di sussidiarietà contemplato nell’art. 696, comma 3, poiché le disposizioni del codice che regolano le ipotesi di trasferimento si applicheranno alla duplice condizione che sussista una fonte.

Il meccanismo opera sia sul versante attivo che su quello passivo e si basa sui trattati internazionali che espressamente ne prevedono la possibilità di attivazione.

L’iniziativa, in caso di trasferimento all’estero spetta al pubblico ministero, il quale ne dà comunicazione al Ministro della giustizia, che a sua volta può vietare l’esecuzione del trasferimento nel caso di compromissione della sicurezza, della sovranità o di altri interessi essenziali dello Stato, nonché nell’ipotesi di un processo che non assicuri il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, ovvero quando vi sia motivo di ritenere che l’indagato potrà essere sottoposto ad atti persecutori o discriminatori, a trattamenti disumano o degradanti, o comunque ad atti che configurano la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. La scelta è dunque affidata al p.m. e, nel caso di trasferimento all’estero, è subordinata al consenso del Ministro della giustizia; ove il trasferimento sia possibile, tuttavia, il g.i.p. emette decreto di archiviazione esercitando un potere di controllo in ordine al rispetto dei criteri di stretto collegamento territoriale.

Nell’ipotesi in cui il trasferimento avvenga all’estero, l’autorità procedente deve seguire alcuni criteri . Trattasi, in particolare, di criteri già indicati in risalenti fonti pattizie – ad es. la Convenzione sul trasferimento dei procedimenti penali firmata a Strasburgo il 15 maggio 1972 (art. 8) e poi transitati nella normativa europea, che la disposizione di cui al comma 3 definisce nel:


  • b) luogo in cui si è verificata la maggior parte delle conseguenze dannose;

  • c) luogo in cui si trova il maggior numero delle persone offese, di testimoni o delle fonti di prova; d) luogo in cui risiede, dimora, è domiciliato ovvero si trova l’indagato.

  • d) l'impossibilità di procedere ad estradizione dell’indagato che ha trovato rifugio nello Stato richiesto.

Le regole generali, valide per il trasferimento sia dall’estero che all’estero, prevedono una preclusione di carattere temporale-processuale secondo cui il trasferimento del procedimento penale o la sua assunzione sono disposti fino a quando non sia esercitata l’azione penale.

L’obiettivo, pertanto, è quello di evitare uno sfasamento tra fasi procedimentali o processuali, consentendo lo spostamento della sede soltanto nella fase preliminare ovvero investigativa.

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