Nello specifico, secondo gli Ermellini, appostarsi a poca distanza dal luogo di lavoro, al fine di fotografare o sorvegliare i dipendenti rientra nell’alveo della previsione normativa dell’art. 660 del Codice Penale. Tale reato viene integrato da qualsiasi condotta oggettivamente idonea a determinare l’altrui molestia ed è, dunque, connotata sotto il profilo oggettivo, dall’effetto di importunare e dall’arrecare un disturbo o comunque un fastidio con la conseguenza di interferire nella sfera privata altrui o nelle relazioni degli altri.
Nel caso di specie, un uomo, si appostava dietro ad un albero, al fine di fotografare i dipendenti al momento dell’entrate e dell’uscita per accertarsi che non venissero rubati dei beni di proprietà della moglie che erano custoditi al suo interno. Gli stessi, accortisi della presenza dell’uomo, hanno chiamato i carabinieri e successivamente hanno presentato formale denuncia.
Secondo la Suprema Corte, la condotta di cui all’articolo 660 del Codice Penale si configura anche con una sola azione di disturbo o molestia, non essendo necessario il parametro dell’abitualità per il configurarsi del reato. La fattispecie in oggetto punisce qualsiasi condotta che possa arrecare disturbo, fastidio o anche solo importuni la persona attraverso delle interferenze nell’altrui vita privata.
Difatti le testimonianze degli addetti, ma anche dei Carabinieri, hanno confermato che le azioni dell’uomo "alteravano le normali condizioni di tranquillità alle quali avevano diritto nello svolgimento del proprio lavoro [i dipendenti], attraverso una azione impertinente, indiscreta, invadente, senz'altro riconducibile nella nozione di petulanza".
Per i Giudici, l’occasionalità della condotta e la presunta tutela di un asserito diritto violato dai dipendenti, non hanno alcuna rilevanza ai fini di una giustificabilità della condotta posta in essere dall’uomo.