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Le avances ossessive e reiterate integrano il reato di molestie e giustificano il diniego dell'oblazione

Le avances ossessive e reiterate integrano il reato di molestie e giustificano il diniego dell'oblazione
Chi ponga in essere delle avances ossessive, contattando con insistenza un'altra persona, commette il reato di molestie, la cui gravità giustifica il diniego dell'oblazione.
La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15835/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla configurabilità del reato di molestia o disturbo, ai sensi dell’art. 660 del c.p., in capo al soggetto che abbia contatto in maniera ossessiva e reiterata un’altra persona al fine di ottenere un incontro a sfondo sessuale.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata in seguito alla condanna inflitta in primo grado ad un uomo, per il reato di molestia e disturbo, ex art. 660 del c.p., nonostante l’imputazione originaria fosse ai sensi dell’art. 612 bis del c.p., per aver pedinato e contattato in maniera ossessiva e reiterata, con telefonate e messaggi, la persona offesa, al fine di spingerla ad instaurare una relazione o, quantomeno, per ottenere l’organizzazione di un incontro a sfondo sessuale. Da tale condotta, infatti, era derivata, ai danni della persona offesa, una situazione di grave disagio ed imbarazzo, tanto da dover ricorrere al supporto di uno specialista.

Di fronte alla propria condanna, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione eccependo, innanzitutto, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 162 bis del c.p. e dell’art. 141 delle disp. att. c.p.p., nonché un vizio motivazionale. Secondo il ricorrente, infatti, all’esito della modifica dell’originaria imputazione, il Tribunale aveva errato nel respingere la richiesta di oblazione, avanzata ai sensi dell’art. 162 bis del c.p., sul rilievo del mancato deposito degli importi previsti, senza fornire, peraltro, alcuna motivazione in ordine alla gravità del reato.

L’imputato lamentava, poi, la contraddittorietà della motivazione fornita dal Tribunale, il quale non aveva, a suo avviso, tenuto conto della reciprocità dei contatti intercorsi tra esso e la parte offesa. Dall’istruttoria era, infatti, emerso come, talvolta, fosse stata la stessa parte lesa a chiamare o ad inviare messaggi all’imputato, tenendo così un comportamento ambiguo, il quale aveva indotto il ricorrente a ritenere che la persona offesa fosse interessata alle proprie avances.

La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, giudicandolo inammissibile.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, gli Ermellini hanno evidenziato come, pur essendo vero che sia il comma 2 dell’art. 162 del c.p., sia il comma 6 dell’art. 162 bis del c.p., prevedono che l’estinzione del reato si possa produrre per effetto del pagamento della somma dovuta, occorra, tuttavia, considerare che a detta disciplina si affianca quella introdotta dall’art. 141 delle disp. att. c.p.p., il quale, secondo l’univoca giurisprudenza di legittimità, ha implicitamente abrogato la parte processuale contenuta nel secondo comma dell’art. 162 bis del c.p., divenendo, così, l’unico procedimento applicabile ad ogni forma di oblazione prevista dal codice penale.

Posta tale precisazione, la Cassazione ha, comunque, rilevato come il motivo di ricorso avanzato, sul punto, dall’imputato, mancasse di specificità, in quanto il Tribunale ha pienamente giustificato il diniego dell’oblazione facoltativa, facendo riferimento non solo al mancato deposito, unitamente alla domanda, della somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda prevista per il reato contestato all'imputato, ma, soprattutto, all’apprezzata gravità del reato stesso.

Quanto, poi, al supposto vizio motivazionale, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, il Tribunale abbia fornito una motivazione completa e articolata sotto ogni aspetto, avendo ampiamente giustificato la ritenuta gravità del fatto di reato, valorizzando la durata della condotta molesta, l’effettiva portata delle espressioni usate dall’imputato, nonché la condotta tenuta dallo stesso anche dopo l’apertura del procedimento, assumendo degli atteggiamenti ostili nei confronti della parte lesa, i quali si erano estrinsecati in insulti e manifestazioni di disprezzo.


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