Di questa questione si è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6882 del 14 febbraio 2017, con la quale sono state fornite alcune interessanti precisazioni sull’argomento.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Cagliari aveva condannato un soggetto per il reato di cui all’art. 659 c.p.e., “per avere, in ora notturna ed in evidente stato di alterazione psico-fisica derivante dall’abuso di sostanze alcoliche, disturbato il riposo delle persone urlando frasi e parole farneticanti, dapprima affacciato alla finestra della propria abitazione ed in strada poi”.
Ritenendo la sentenza ingiusta, l’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione, evidenziando che il Tribunale aveva erroneamente escluso la non punibilità della condotta “per particolare tenuità del fatto” (art. 131 bis c.p.), dal momento che non sussistevano i “requisiti di particolare entità dell’offesa, sia sotto il profilo della modalità della condotta, che sotto quello dell’esiguità del danno o del pericolo”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Secondo la Cassazione, infatti, la valutazione del giudice era stata adeguatamente motivata e non poteva in alcun modo essere criticata.
Nel caso in esame, infatti, il Giudice aveva ampiamente descritto i fatti di causa, evidenziando che “la condotta del ricorrente si era sviluppata per un consistente arco temporale alle due di notte ed aveva comportato l’intervento di due pattuglie dei Carabinieri”.
Ebbene, secondo la Corte, il Giudice aveva del tutto correttamente ritenuto la condotta “idonea a superare, per natura, intensità e collocazione cronologica, la normale tollerabilità e ad arrecare disturbo alla quiete di un numero indeterminato di persone”, con conseguente configurabilità del reato previsto dall’art. 659 c.p., sopra citato.
Inoltre, secondo la Corte, era stata “esclusa la sussistenza di elementi che giustificassero una valutazione di particolare tenuità”, in considerazione “dell’allarme provocato nei vicini ed all’intervento di due pattuglie, resosi necessario per riportare alla calma l’imputato e farlo rientrare nell’abitazione, con successivo piantonamento della stessa”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, confermando integralmente la sentenza di condanna dell’imputato e condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.