Occorre fare molta attenzione perché c’è anche il pericolo di sanzioni penali.
Quali sono le conseguenze nel caso di dimissioni volontarie?
Innanzitutto, con “dimissioni volontarie” si fa riferimento all’ipotesi in cui il lavoratore recede volontariamente dal contratto di lavoro.
La normativa (l’art. 2, comma 3 del D.L. n. 48/2023, convertito in L. n. 85/2023) stabilisce che il nucleo familiare non ha diritto all’Adi quando un suo componente risulta disoccupato a seguito di dimissioni, nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni stesse.
Però, ci sono due eccezioni: il caso delle dimissioni per giusta causa (ossia, le dimissioni presentate per gravi motivi che non permettono di continuare il rapporto lavorativo, come ad esempio mobbing o mancato versamento dello stipendio) e il caso della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione prevista dall’art. 7 della L. n. 604 del 1966.
Le dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa) devono essere comunicate all’INPS.
Se le dimissioni non sono comunicate correttamente all’INPS, si rischia di subire pesanti sanzioni. Vediamo quali.
In realtà, a seconda del periodo in cui vengono date, ci sono due diverse modalità di comunicazione delle dimissioni:
- quando le dimissioni sono rassegnate precedentemente alla richiesta per l’Adi, bisogna comunicarlo nel modulo della domanda. Se si risulta disoccupati nei dodici mesi dopo la data delle dimissioni, la domanda verrà respinta automaticamente;
- quando le dimissioni sono successive alla richiesta per l’Adi, entro 30 giorni si deve presentare il modulo Adi Com-Esteso per le comunicazioni obbligatorie durante l’erogazione della misura.
Allora, che cosa si rischia?
Occorre sottolineare che la normativa riguarda chi resta disoccupato a seguito di dimissioni. Ciò significa che, al di là delle dimissioni per giusta causa o della risoluzione consensuale del rapporto lavorativo, il diritto al nuovo beneficio non si perde quando l’interessato non acquisisce lo stato di disoccupato dopo le dimissioni.
Quindi, ad esempio, nel caso di dimissioni per cambio lavoro, il diritto all’Adi si mantiene. Allo stesso modo, seguendo l’indirizzo che si era formato in relazione al Reddito di Cittadinanza, il diritto alla nuova misura non si perde neanche nel caso di dimissioni nel periodo di prova.
Dunque, nel caso di dichiarazioni mendaci (ossia, false), di esibizione di documentazione falsa, di mancata comunicazione dei cambiamenti di determinate informazioni pertinenti ai fini del mantenimento del beneficio (ad esempio, le variazioni del reddito o del patrimonio), la legge prevede l’applicazione di sanzioni penali.
Nello specifico, a meno che la condotta non costituisca un reato più grave, il soggetto, che rende false dichiarazioni o non fornisce informazioni rilevanti al fine di percepire l’Adi, può essere punito addirittura con la reclusione da due a sei anni.
Invece, l’omessa comunicazione di variazione del reddito o del patrimonio può portare alla sanzione penale della reclusione da uno a tre anni.
Peraltro, occorre anche precisare che c’è la decadenza dal beneficio per la persona, che viene condannata in via definitiva (anche con patteggiamento) per aver ottenuto il beneficio o per qualsiasi reato (in particolare, delitto) non colposo con pena da un anno in su.
Con la decadenza dal beneficio c’è anche la condanna alla restituzione di quanto percepito, con l’immediata disattivazione della Carta di inclusione da parte dell’INPS.