Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Asti aveva assolto un imputato dai reati di cui agli artt. 256 e 279 del T.U. in materia ambientale (decr. leg. n. 152 del 2006).
All’imputato (presidente del Consiglio di Amministrazione di una società), in particolare, era stato contestato di aver smaltito senza autorizzazione alcuni residui di lavorazione (trucioli e segatura), consegnandoli ad una ditta non autorizzata, dietro pagamento di un corrispettivo in denaro.
Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore della Repubblica aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza di assoluzione.
Secondo il ricorrente, infatti, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso che i residui di lavorazione in questione avessero natura di rifiuto, dal momento che per “rifiuto” deve intendersi qualsiasi “residuo di processo di produzione - di cui il detentore intende disfarsi, a prescindere dal carattere gratuito od oneroso di ciò”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al Procuratore ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che, ai sensi dell’art. 183 del T.U. in materia ambientale costituisce “rifiuto” una “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”, esattamente come doveva dirsi per gli scarti di produzione di cui al caso di specie.
Con particolare riferimento, poi, alla segatura e ai truciolati, oggetto di contestazione, la Cassazione osserva che la giurisprudenza ha costantemente affermato che gli stessi hanno natura di “rifiuto” (Cass. civ., sent. n. 51422 del 6.11.2014, sent. n. 37208 del 09.04.2013 ecc.).
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il Tribunale, aveva effettivamente errato nel negare la qualifica di “rifiuto” ai materiali oggetto di contestazione, basando tale conclusione sul fatto che tali materiali fossero costantemente ceduti ad un’altra società, dietro pagamento di una somma di denaro.
Tale fattore, tuttavia, non poteva considerarsi sufficiente al fine di escludere la natura di “rifiuto”, dal momento che, se il prodotto in questione ne ha tutte le caratteristiche oggettive, tale natura non può dirsi esclusa in ragione di un semplice accordo con un terzo.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione annullava la sentenza emessa dal Tribunale di Asti, rinviando la causa al Tribunale stesso, affinché il medesimo decidesse nuovamente sulla questione, tenendo conto dei principi sopra enunciati.