È disabile, secondo la novellata dizione legislativa, "colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione"; sussiste situazione di gravità "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale" (art. 3 della legge 104).
Peraltro, oggi, nel nuovo decreto sulla disabilità si adopera la locuzione “condizione di disabilità”, in luogo della parola “handicap", per indicare il significato più ampio di duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale che, in presenza di barriere di natura diversa, può ostacolare concretamente la partecipazione alla vita quotidiana e ai diversi contesti di vita in condizione di uguaglianza con la collettività.
Occorre poi chiarire che il legislatore non ha fornito indicazioni restrittive relative al luogo, riguardo a dove, cioè, debba essere prestata l’assistenza. Questo perché, in teoria, potrebbe essere ovunque, un qualsiasi luogo, purché funzionale al miglioramento delle condizioni di salute, biopsichiche, del disabile.
Laddove, invece, venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente (cfr. Cass. 19-07-2019 n. 19580).
Così, con la sentenza n. 29062 del 5 dicembre 2017 della Sezione Lavoro, la Cassazione ha infatti accolto il ricorso di un lavoratore che fruiva del congedo biennale, il quale era stato licenziato dopo che l’azienda aveva scoperto, tramite investigatore privato, che durante il giorno non si trovava nella casa della madre inferma, malata di Alzheimer, presso cui aveva spostato la residenza per usufruire del beneficio dei permessi.
La Cassazione ha stabilito che, anche se il lavoratore è stato assente dall’abitazione della madre, ciò non è sufficiente per confermare l’accusa, perché è stato accertato che, nonostante l’assenza, beneficiava del congedo 104 per assistenza. La donna, come da certificazione medica specialistica, aveva tendenza alla fuga, soffriva di insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna, per cui il figlio doveva di necessità restare sveglio la notte per assistere la madre insonne, e sorvegliarla per scongiurare possibili fughe già verificatesi in passato.
Il comportamento tenuto dal lavoratore è stato quindi ritenuto compatibile con le finalità dell’assistenza richiesta, privando pertanto di rilevanza disciplinare la condotta tenuta.
Non si può ritenere che l’assistenza, per giustificare il congedo straordinario, debba essere esclusiva al punto da impedire a chi la fornisce di avere del tempo per le proprie necessità personali e familiari, oltre che per il riposo e il recupero delle energie psico-fisiche.