Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale di un soggetto per il reato di “istigazione alla corruzione” (art. 322 cod. pen.).
L’imputato, in particolare, era stato condannato per tale reato in quanto, nel corso di un controllo della Guardia di Finanza presso il suo esercizio commerciale, avrebbe avvicinato un brigadiere, “tentando di riporre all'interno della tasca posteriore dei pantaloni la somma di Euro 350,00, pronunciando la frase ‘questi per offrirvi un caffè’”.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo l’imputato, infatti, la Corte d’appello avrebbe errato nel non applicare la circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis c.p. (particolare tenuità del fatto), in quanto il fatto contestato, valutato nella sua globalità, non era di natura particolarmente grave e non aveva “prodotto alcun turbamento dei pubblici ufficiali nelle loro funzioni”.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione all’imputato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Secondo la Cassazione, in particolare, l’attenuante prevista per i fatti “di particolare tenuità” ricorre in tutte le ipotesi in cui “il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta”.
Evidenziava la Cassazione, infatti, che, al fine di valutare se un fatto debba considerare “di particolare tenuità”, occorre tenere in considerazione, non solo l’entità del danno o del vantaggio conseguito, ma anche “ogni caratteristica della condotta”, oltre che l’atteggiamento soggettivo dell’agente e l’evento da questi determinato.
Nel caso in esame, invece, a parere della Corte, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano erroneamente escluso la sussistenza della suddetta attenuante, ritenendo che la condotta dell’imputato fosse stata “arrogante ed offensiva”, quando, invece, in realtà, il fatto si era risolto in un “goffo tentativo” dell’imputato “di porre all'interno della tasca posteriore dei pantaloni del pubblico ufficiale la somma di Euro 350,00, pronunziando la fase ‘questi per offrirvi un caffè’”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.