Ci basti pensare all’uso indistinto che si fa dei termini “affitto” e “locazione” che, solitamente, riteniamo essere la stessa cosa ma non è così: il primo riguarda la concessione in uso di beni produttivi (come un terreno coltivabile o un esercizio commerciale), mentre la seconda è relativa ai beni non produttivi, come l’utilizzo di una stanza per uno studente fuori sede.
È il caso del recesso e della disdetta, che non sono sinonimi e non possono, dunque, sostituirsi a vicenda, ma sono tra loro molto vicini poiché riguardano entrambi il momento finale di un rapporto giuridico.
Vediamo nel dettaglio quali sono le differenze.
Il recesso
Il codice civile ci dice, all’art. 1372, che “il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Ciò vale a dire che l’impegno tra le parti vincola le stesse come se ci fosse una legge a prevederlo; l’unico modo per venir meno all’impegno preso è quello di trovare un accordo di segno inverso a quello che ha dato luogo alla definizione del contratto (mutuo consenso) con la controparte, a meno che non sia la legge a prevedere dei casi specifici.
L’art. 1373 c.c. prevede, invece, la possibilità per una sola delle parti di venir meno agli obblighi contrattuali; in tal caso si parla di recesso unilaterale. Questo finché il contratto non abbia avuto inizio (comma 1) o, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, anche successivamente, ma vengono fatte salve le prestazioni già eseguite (comma 2).
La forma tipica di recesso unilaterale si manifesta allorché tale diritto deriva da una clausola inserita nel contratto che permetta in modo esplicito ad una delle parti di recedere. Questa clausola può essere il frutto della volontà delle parti oppure di un’imposizione legislativa. Ad esempio, nei contratti stipulati a distanza (si pensi a telefonia o tv a pagamento), il codice del consumo prevede che sempre si debba consentire al consumatore di poter recedere senza alcun costo entro i primi quattordici giorni dall’attivazione, oppure quando lo ritenga più opportuno durante il rapporto di fornitura del servizio, ma dovendo in questo caso sostenere i costi di disattivazione.
Anche quando non è la legge a stabilirlo direttamente, in genere viene prevista una caparra (definita penitenziale ex art. 1386, comma 1, c.c.) da versare anticipatamente per la facoltà di recesso concessa; se, al contrario, occorre pagare solamente dopo il recesso, si parlerà di multa penitenziale ex art. 1373, comma 3, c.c.
La disdetta
Una volta comprese le caratteristiche del recesso, possiamo definire più agevolmente le differenze con la disdetta. Come il recesso, anche la disdetta è un evento che attiene alla fase conclusiva di un rapporto giuridico: la disdetta, però, non interrompe il vincolo giuridico (si dice, in tal caso che “non ha effetto interruttivo”) ma, più semplicemente, ne impedisce il rinnovo. Essa è, altresì, completamente gratuita, a differenza del recesso.
In altri termini, attraverso la disdetta si fa una dichiarazione di volontà contraria al rinnovo di un contratto in scadenza. Per esempio, in campo assicurativo, se si comunica tempestivamente alla propria compagnia assicuratrice di non voler rinnovare la polizza per l’anno successivo, si parlerà di disdetta e non di recesso.