La vicenda aveva avuto origine dalla citazione in
giudizio da parte di una donna nei confronti dell’ex fidanzato, al quale veniva chiesto il ristoro per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa della
promessa di matrimonio a cui si era sottratto. L’uomo sosteneva di non dover nulla all’ex fidanzata ed affermava di aver deciso di sposarla solamente dopo aver saputo che era rimasta incinta ma, una volta fissato il luogo per il ricevimento ed aver effettuato le pubblicazioni, a causa dei suoi sospetti circa la volontà della donna di sposarsi unicamente per ragioni economiche, i due avevano deciso di non procedere più al rito.
L’uomo, di conseguenza, affermava che la rottura fosse dovuta alla volontà di entrambe le parti ed eccepiva, in primo luogo, che la
domanda di ristoro fosse stata proposta oltre un anno dopo la decisione di non convolare a nozze, in violazione dell’art.
81 c.c., in secondo luogo, che la decisione di non sposarsi fosse intervenuta solo poco dopo le pubblicazioni, almeno venti giorni prima della data fissata per la cerimonia.
La domanda della donna veniva rigettata in
primo grado: secondo il
tribunale, non era stato dimostrato che la proposizione della domanda era avvenuta entro il prescritto
termine di un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il
matrimonio.
In
appello la
sentenza veniva riformata, ed i giudici condannavano l’uomo a pagare la rifusione delle spese sostenute dall’ex fidanzata in vista delle nozze, ritenendo che l’onere probatorio in merito alla consensualità della risoluzione ricadesse sul
convenuto.
Dalle varie testimonianze raccolte era infatti emerso che la decisione di non contrarre il matrimonio era stata presa dal solo ex fidanzato, il quale l’aveva resa nota solo una settimana prima della data fissata. Non era, inoltre, stata provata dall’uomo la sussistenza di un giusto motivo a sostegno del suo ripensamento, tale da sottrarlo dall’obbligo di risarcire i danni.
L’uomo proponeva pertanto
ricorso in Cassazione, la quale si è espressa con l’
ordinanza n. 10926/2020, rigettando il ricorso. La Suprema Corte ha ritenuto che in sede di merito fosse stato accertato il fatto che la rottura del matrimonio fosse dipesa solamente dall’ex fidanzato, il quale aveva comunicato alla controparte la sua decisione solamente
una settimana prima della data fissata. L’uomo era dunque
tenuto al risarcimento nei confronti della donna per coprire le spese da lei sostenute in ragione delle obbligazioni assunte in vista delle nozze, tra cui quelle per l’abito.
La Cassazione si è in questo modo uniformata a quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui la rottura della promessa di matrimonio comporta la previsione a carico della parte che recede ingiustificatamente di un’
obbligazione ex lege a rimborsare alla controparte l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio. Non si tratta, quindi, di una piena
responsabilità per danni, in quanto
non sono risarcibili voci di
danno patrimoniale diverse da quelle menzionate, né gli eventuali danni non patrimoniali subiti.