Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Firenze aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Pistoia, con la quale era stata confermata la condanna dell’imputato per il reato di cui sopra.
L’imputato, ritenendo la condanna ingiusta, proponeva ricorso in Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.
Secondo il ricorrente, in particolare, vi sarebbe stato un “omesso o incompleto esame di gran parte delle doglianze formulate avverso la sentenza di primo grado con i motivi di appello, riprodotti analiticamente nell’atto di impugnazione”.
Il ricorrente, inoltre, riteneva che la pena comminata fosse, in ogni caso, eccessiva e come il giudice di secondo grado avesse erroneamente escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
In proposito, la Corte di Cassazione osservava che la Corte d’Appello, “sia pure in forma concisa”, si era pronunciata in merito “all’aspetto della residuale capacità economica riconosciuta in capo al ricorrente, prendendo, altresì, in debita considerazione il dato costituito dal breve periodo di detenzione” patito dall’imputato.
Inoltre, il Giudice di secondo grado avrebbe adeguatamente valutato anche la questione relativa ai rapporti con il figlio minore, i quali erano stati “completamente e colpevolmente omessi”, come rilevato già nella sentenza di primo grado. In merito a quest’ultima questione, la Cassazione evidenziava come la Corte d’Appello avesse “debitamente preso in considerazione la giustificazione fornita dal ricorrente (gli ostacoli asseritamente opposti dalla madre e dai suoi famigliari), pur disattendendone la rilevanza”.
Per quanto riguarda, infine, l’asserita eccessività della pena e l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti, la Corte di Cassazione precisava come tali doglianze richiamassero “prerogative esclusive dei giudici dei gradi di merito del giudizio, cui è demandata la concreta determinazione del trattamento sanzionatorio, comprensivo del bilanciamento delle aggravanti contestate con le attenuanti eventualmente riconosciute”.
In altri termini, va osservato che sono i giudici di primo e secondo grado a determinare la pena e a valutare l’eventuale concessione delle circostanze attenuanti, e tali determinazioni non possono essere sindacate in sede di giudizio di Cassazione.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.