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Violazione obblighi di assistenza famigliare: il giudice penale non è tenuto a fare valutazioni sulla capacità economica dell'imputato

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Violazione obblighi di assistenza famigliare: il giudice penale non è tenuto a fare valutazioni sulla capacità economica dell'imputato
Il Tribunale di Campobasso, con la sentenza n. 49 del 23 gennaio 2015, è tornata sul sempre tanto discusso argomento dell’assegno di mantenimento in favore dei figli di minore età.

Va osservato, che la questione si pone nell’ambito dei procedimenti di separazione o divorzio, nei quali il giudice può decidere di porre a carico di un coniuge nei confronti dell’altro (economicamente più debole), il pagamento di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge stesso e/o dei figli minorenni (o maggiorenni ma economicamente non autosufficienti).

In particolare, il giudice dovrà adottare tale decisione considerando quelle che sono le condizioni economico-patrimoniali di entrambi i coniugi, tenendo conto del principio fondamentale per cui tale assegno deve essere tale da garantire al coniuge più debole di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui godeva nel corso del matrimonio.

Ma cosa succede se il coniuge non paga quanto dovuto, mentendo in ordine alle sue reali condizioni economiche?

Nel caso all’esame del Tribunale, il padre aveva omesso di versare gli assegni di mantenimento posti a suo carico nei confronti della ex moglie e dei figli, “nonostante il loro grave stato di bisogno e nonostante le numerose richieste rivoltegli” dagli stessi.

Di conseguenza, la moglie agiva in giudizio, in sede penale, al fine di ottenere la condanna dell’ex marito per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza famigliare”, di cui all’art. 570 del codice penale.

Ebbene, il Tribunale ritiene di aderire alle argomentazioni svolte dalla donna, accogliendo la sua domanda e condannando l’ex marito per il reato in questione.

In particolare, il Tribunale osserva come, a seguito delle indagini effettuate nel corso del precedente giudizio civile, avente ad oggetto la richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento, “la asserita condizione di nullatenenza dell'odierno imputato appare poco credibile: se da una parte, infatti, i debiti tributari del F. dimostrano che in passato egli ha percepito redditi consistenti (…)”, risultando “più che verosimile l'assunto del tribunale civile secondo il quale gli ingenti redditi del F. degli anni passati sono stati occultati al fisco e sono stati conservati o reinvestiti in attività intestate a prestanomi. L'alto tenore di vita condotta dall'imputato e la circostanza che a rilevare la ditta "C.I." sia stata la nuova compagna dello stesso, persona molto giovane di età, non originaria né dell'Italia né dell'Albania (sede dell'A.I.S.") e, quindi, con molta probabilità, con risorse insufficienti per rilevare ditte o comprare macchine di lusso, inoltre, rafforzano tale tesi”.

Peraltro, il giudice rileva come, in ogni caso, tale presunta “difficoltà economica” sarebbe in ogni caso irrilevante, dal momento che la giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nel ritenere che “è "escluso ogni accertamento in sede penale sulla effettiva capacità proporzionale di ciascun coniuge di concorrere al soddisfacimento dei bisogni dei figli, e spettando al solo giudice civile tale verifica, in quanto la disposizione incriminatrice si limita a sanzionare la condotta di inadempimento" (Cass. sez. VI, n. 34270 del 31.05.2012)”.

Di conseguenza, il Tribunale, non ritenendo nemmeno credibile che il soggetto in questione si trovasse davvero in una condizione di “nullatenenza” e di difficoltà economica, ritiene di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’ex moglie dello stesso, condannando il medesimo per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza famigliare”, di cui all’art. 570 c.p. e condannandolo, inoltre, al risarcimento dei danni subiti dalla moglie e dai figli.


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