Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto la responsabilità di un conducente di un autoveicolo per il reato di omicidio colposo (art. 589 del c.p.), in relazione ad un sinistro stradale in cui il veicolo dell'imputato veniva coinvolto unitamente al veicolo condotto da un altro soggetto.
La Corte d’appello, in particolare, “riteneva dimostrato l'addebito valorizzando le circostanze dell'incidente come ricostruite in atti” e motivando la propria decisione in base alla “affermata sussistenza del contributo causale dell'imputato, in ragione del fatto che questi aveva tenuto una velocità non rispettosa dei limiti e non adeguata al contesto, così concorrendo nella determinazione del sinistro, riconducibile anche all'improvvida condotta di guida dell'altro automobilista”.
Giunti dinanzi alla Corte di Cassazione, l’imputato censurava la motivazione della sentenza di condanna, non condividendo le conclusioni del giudice di merito in ordine all'affermato nesso di causalità tra la propria condotta e il sinistro.
La Corte di Cassazione non riteneva, tuttavia, di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
In particolare, la Corte sottolineava come i motivi di doglianza fossero generici, a fronte della conferma, in secondo grado, della sentenza di condanna. Entrambi i giudici di merito, infatti, avevano affrontato tutti i temi rilevanti ai fini del giudizio.
La Cassazione evidenziava come “la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia - valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente - è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione”.
In sostanza, poiché la Cassazione si limita a verificare il rispetto delle norme di legge, la stessa non può rientrare nel merito della questione, con la conseguenza che non si possono contestare, in tale grado di giudizio, le valutazioni operate dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, laddove siano adeguatamente motivate.
Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti era stata effettuata attentamente, con la conseguenza che la sentenza impugnata non poteva ritenersi viziata.
Precisava la Corte, inoltre, come fosse “ampiamente motivato” il giudizio di responsabilità e ricordava che “poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sè condotta negligente”.
In sostanza, secondo i giudici di terzo grado, “in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, il conducente ha l'obbligo di tenere un comportamento prudente ed accorto, prevedendo anche le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili”.
Di conseguenza, il “comportamento di per sè colposo dell'imputato (in punto di rispetto dei limiti di velocità)” doveva ritenersi “tale da essere stato motivatamente valorizzato per fondare l'addebito di cooperazione colposa”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.