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Condominio, ti spetta il rimborso se le tabelle millesimali sono sbagliate, ecco quando e come fare: sentenza Cassazione

Condominio, ti spetta il rimborso se le tabelle millesimali sono sbagliate, ecco quando e come fare: sentenza Cassazione
Vediamo cosa dice la Corte di Cassazione
Cosa accade se Tizio costruisce una sopraelevazione e le quote millesimali sono rettificate solo a distanza di anni?

La Corte di Cassazione, con ordinanza 4 settembre 2024, n. 23739, ha stabilito che è legittimo riconoscere al condominio danneggiato da una errata tabella millesimale - dopo la sua correzione - il rimborso della differenza tra quanto pagato dal singolo condomino, in misura minore, e quanto avrebbe dovuto pagare.

Il risparmio ottenuto dal condòmino – affermano i giudici – corrisponde ad un “arricchimento senza causa” che il condòmino stesso deve restituire.

Pertanto, in assenza di giustificazione relativamente a somme altrimenti destinate a far fronte ad esigenze dell'intero condominio, lo stesso è legittimato ad agire per ottenere l'indennizzo ai sensi dell’articolo 2041 del codice civile.

Ma cosa dispongono le norme in tema di modifica delle tabelle millesimali?

Le tabelle millesimali – sembra utile ricordare - esprimono il rapporto di valore tra le singole unità immobiliari (cc.dd. quote millesimali) e l'intero stabile, il cui valore unitario è considerato equivalente a mille. Il cambiamento o la rettifica delle tabelle millesimali sono possibili, ma solo con l'assenso di tutti i condomini (art. 69 disp.att.c.c.).

Tuttavia, sussistono due ipotesi in cui la modifica può avvenire nel corso dell'assemblea condominiale, con l'assenso della maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c.:
  • quando il calcolo dei millesimi è conseguenza di un errore;
  • quando - a seguito di sopraelevazioni, aumenti di superficie o incrementi o diminuzioni del numero delle unità immobiliari - è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino.

È stato precisato, dalla giurisprudenza, che "in tema di condominio, le tabelle millesimali hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali, al fine di ripartire le relative spese e stabilire la misura del diritto di partecipazione alla volontà assembleare, ma non incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino" (Cass. Civ. 31 marzo 2017, n. 8520).
Con L. n. 220 del 2012, il legislatore ha provveduto a riscrivere l'art. 68 disp.att.c.c. in tema di tabelle millesimali, coordinandolo con la previsione dell'art. 1118 c.c.
La disposizione normativa statuisce che: "ove non precisato dal titolo ai sensi dell'articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice civile, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare".
 
Qualora le tabelle millesimali siano formate o modificate giudizialmente, gli eventuali errori possono essere corretti solo attraverso l'impugnazione della sentenza, con la conseguenza che la formazione del giudicato preclude ogni possibilità di contestazione successiva, rendendo la tabella millesimale contenuta nella sentenza definitivamente valida.

Infine, la giurisprudenza ha precisato che "qualora le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale contrattuale non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini, ovvero con sentenza del giudice ex art. 69 disp. att. c.c., nonostante le variazioni di consistenza o di destinazione delle singole unità immobiliari, la ripartizione delle spese condominiali va effettuata in conformità alle tabelle stesse, salva la facoltà del condomino, richiesto del pagamento della quota di pertinenza, di proporre domanda, anche riconvenzionale, di revisione o modifica delle tabelle ai sensi del citato art. 69 nei confronti di tutti i condomini" (Cass. Civ., 31 marzo 2017, n. 8520).

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