La pronuncia traeva origine dalla vicenda giudiziaria che vedeva protagonista un uomo, esercente l’attività di domestico presso terzi, il quale, a seguito di un sinistro subito mentre si trovava a bordo di un autobus, aveva riportato gravi lesioni fisiche che, diminuendo in modo significativo la sua capacità lavorativa, avevano causato il suo licenziamento.
La Corte d’Appello adita, riformando la sentenza di primo grado e accogliendo parzialmente le domande del danneggiato, condannava al risarcimento del danno la società titolare dell’autobus a bordo del quale si trovava il danneggiato al momento del sinistro.
Il danneggiato, rimasto parzialmente soccombente, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha, da ultimo, accolto parzialmente i motivi di ricorso proposti.
La Suprema Corte ha ribadito come il danno da riduzione della capacità di guadagno debba essere liquidato in misura pari al triplo della pensione sociale (c.d. assegno sociale), nel caso in cui la misura molto modesta del reddito, provata dalle prodotte buste paga, sia tale da rendere la situazione del danneggiato equiparabile a quella di un disoccupato. Gli Ermellini hanno, però, evidenziato che, in ossequio ad un loro consolidato orientamento (Cass. Civ., n.2512/2001), il fondamento di tale assunto non va individuato nell’art. 137 del codice ass. private, in quanto esso si riferisce alla sola azione diretta del danneggiato contro l’assicuratore, non anche a quella esperibile nei confronti del responsabile del sinistro. Lo stesso va, piuttosto, rinvenuto nell’art. 1226 del c.c., il quale impone al giudice di liquidare il danno con una valutazione equitativa nel caso in cui esso non possa essere provato nel suo ammontare preciso.
Alla luce di tali circostanze, i giudici di legittimità hanno sottolineato come il principio per cui spetta al danneggiato provare lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito, debba essere temperato alla luce del rilievo per cui, come già affermato dalla stessa Corte (Cass. Civ., n. 25370/2018), si può ricorrere al criterio del triplo della pensione sociale anche qualora il giudice di merito accerti che la vittima, al momento del sinistro, godeva di un reddito talmente esiguo o sporadico da renderlo sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato.
La Suprema Corte, pertanto, confermando il suo precedente orientamento in materia (Cass. Civ., n. 8896/2016), ha affermato il principio di diritto per cui "il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima al momento del sinistro ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima".