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Divorzio: il figlio minore può decidere di vivere con il padre?

Famiglia - -
Divorzio: il figlio minore può decidere di vivere con il padre?
Se i genitori si separano o divorziano, il giudice è obbligato a rispettare la volontà del minore di trascorrere più tempo con un genitore? La risposta della Cassazione
Le norme del codice civile prevedono da tempo che, nei procedimenti che riguardano i figli minori, questi ultimi devono essere ascoltati dal giudice.
L’ascolto è obbligatorio se il bambino o la bambina ha compiuto dodici anni, ma anche se di età inferiore, purché il minore sia “capace di discernimento” (ovvero di grado di esprimere con consapevolezza un giudizio o una scelta).
Ma quanto “pesa” davvero la volontà dei figli minori, soprattutto nei procedimenti di separazione e divorzio, e quanto può influenzare la decisione del giudice sull’affidamento?
La questione è stata nuovamente affrontata da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 16231/2023.
Questa in breve la vicenda processuale.
Un Tribunale, pronunciandosi sulla richiesta di modifica delle condizioni di divorzio tra due coniugi, stabiliva che la figlia minore vivesse prevalentemente con la madre, nell’abitazione di quest’ultima.
Il padre si opponeva a tale decisione, presentando reclamo alla Corte d’Appello in cui chiedeva che la figlia venisse ascoltata dal giudice.
La minore veniva quindi sentita dalla Corte di Appello, e in quella sede esprimeva la volontà di trascorrere più tempo con il padre.
I giudici di secondo grado, però, non assecondavano in pieno la volontà della figlia, ma modificavano solo in parte i tempi di frequentazione con il padre. In particolare, il padre otteneva di poter stare con la figlia solo un giorno in più a settimana rispetto a quanto era stato stabilito in sede di divorzio.
Questo perché, secondo la Corte d’Appello, rivoluzionare i tempi di frequentazione a vantaggio del padre non rispondeva all’interesse della figlia, che anzi avrebbe subito di più il conflitto esistente tra i genitori.
A questo punto il padre proponeva ricorso per cassazione.
Tuttavia, neanche la Suprema Corte ha accolto le richieste dell’uomo.
Infatti, secondo l’ordinanza che stiamo esaminando, il giudice deve sì tenere conto della volontà espressa dal minore, ma non è obbligato a “obbedire” alla scelta fatta dal figlio di vivere con l’uno o l’altro genitore.
La Corte ribadisce, però, un altro importante principio: ovvero che il giudice, se non intende rispettare in pieno la scelta del minore, è obbligato a verificare che tale scelta sia effettivamente contraria all’interesse del figlio stesso.
La Suprema Corte ribadisce anche che l’affidamento condiviso non significa necessariamente che i figli debbano trascorrere con i genitori tempi esattamente uguali.
Infatti stabilire che il figlio passi più tempo con la madre o con il padre non comporta violazione di quello che viene chiamato diritto alla “bigenitorialità”.
Dunque, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte di Appello, che peraltro aveva tenuto conto della consulenza tecnica d’ufficio che era stata svolta nel procedimento di merito.
In particolare, secondo la C.T.U. esisteva una situazione di conflitto tra i genitori, in cui la figlia rischiava seriamente di essere coinvolta.
Inoltre, sempre secondo la consulenza, la volontà espressa dalla figlia di passare più tempo con il padre sarebbe stata influenzata proprio dal comportamento di quest’ultimo.
La Corte ha quindi rigettato il ricorso.


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