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Violazione degli obblighi di assistenza familiare: il ricorso al credito bancario esclude lo stato di indigenza

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Violazione degli obblighi di assistenza familiare: il ricorso al credito bancario esclude lo stato di indigenza
La Cassazione afferma che la concessione di un’apertura di credito dimostra che il padre è in grado di provvedere economicamente ai figli.
Con l’ordinanza n. 9428/2019, la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un uomo, condannato sia in primo che in secondo grado per il delitto di cui all’art. 570 del c.p., comma 2, per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie ed alle due figlie minori.
Avverso la sentenza della Corte d'Appello l’uomo proponeva ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in relazione all’art. 570 c.p., perché il Giudice di secondo grado avrebbe arbitrariamente escluso l’impossibilità di adempiere agli obblighi di assistenza familiare, nonostante la dedotta situazione di difficoltà economica del ricorrente, gravato da una rilevante esposizione debitoria costituita soprattutto da un’apertura di credito di ventimila euro concessa da una banca.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ricordando in primis l’ormai costante insegnamento giurisprudenziale, secondo cui le difficoltà economiche in cui versi l’obbligato non escludono di per sé la sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Ciò avviene, infatti, solo ove risulti provato che tali difficoltà si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell’impossibilità di adempiere, anche solo in parte, i predetti obblighi.
Infatti - prosegue la Suprema Corte - grava pur sempre sull’imputato l’onere di allegare “idonei e convincenti elementi indicativi della concreta impossibilità di adempiere”.
La Cassazione, pertanto, ha ritenuto condivisibili le argomentazioni della decisione di merito impugnata, che aveva escluso potesse parlarsi, nel caso in esame, di una “oggettiva impossibilità ad adempiere”.
Anzi, nel corso del giudizio era emerso, né era stato contestato dall’imputato, che quest’ultimo era titolare di una “piccola impresa… che godeva di una buona redditività”.
Inoltre, con riferimento alla circostanza del ricorso al credito bancario, l’esposizione debitoria con la banca rivestiva un significato opposto rispetto a quanto sostenuto dall’imputato. Secondo la Corte, infatti, proprio la concessione dell’apertura di credito dimostrerebbe “che l’imputato godeva della possibilità di accesso al credito e quindi disponeva dei mezzi per pagare, essendo dato di comune esperienza che l’accesso al credito, soprattutto se bancario, è indice di affidabilità della solidità economica-finanziaria dell’attività commerciale svolta.
Peraltro l’ordinanza in commento ha respinto anche un ulteriore motivo di ricorso, basato sulla presunta assenza di prova dello stato di bisogno delle figlie minorenni.
Sul punto, la Cassazione ha infatti rammentato che tale condizione deve ritenersi presunta “in ragione della incapacità del minore a produrre reddito”. Si tratta di un dato pacifico, così come pacifica è l’ulteriore considerazione secondo cui lo stato di bisogno del figlio minore non viene meno per il semplice fatto che vi provveda l’altro genitore, con il proprio lavoro o tramite l’intervento di altri congiunti, in quanto “l’onere del mantenimento deve essere equamente ripartito tra i genitori”.


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