Nel caso esaminato dalla Corte, la locatrice di un immobile ad uso ufficio aveva agito in giudizio al fine di ottenere lo sfratto per morosità della conduttrice, stante il mancato pagamento dei canoni relativi ad alcuni mesi del 2008 e del 2009.
La locatrice, inoltre, chiedeva la risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice.
In primo grado il giudice aveva dichiarato risolto il contratto, condannando la conduttrice “al rilascio e al pagamento dei canoni richiesti”.
Tale decisione veniva confermata in secondo grado, con la conseguenza che la conduttrice proponeva ricorso in Cassazione.
Secondo la ricorrente, in particolare, la locatrice aveva illegittimamente provveduto ad un aumento del canone di locazione e tale pattuizione doveva considerarsi priva di effetti, dal momento che la medesima si poneva in violazione dell’art. 32 della l. equo canone.
La Corte di Cassazione, riteneva di dover accogliere le doglianze sollevate dalla ricorrenti.
Nel caso di specie, infatti, secondo la Corte, la pattuizione relativa all’aumento del canone doveva considerarsi radicalmente nulla.
Osservava la Cassazione, infatti, come “in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 della l. equo canone, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79 della l. equo canone, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti”.
In tal senso, infatti, si era già pronunciata la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10286 del 2001.
A tal proposito, la Cassazione precisava che “il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto, e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi”.
Di conseguenza, “proprio perché il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello, affinchè la medesima decidesse in base ai principi sopra enunciati.