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Tabelle milanesi: è necessario farvi riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale

Tabelle milanesi: è necessario farvi riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale
Per la liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve prendere in considerazione le tabelle di Milano, sebbene sia sempre necessario operare una personalizzazione di tale danno.
La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione ha avuto nuovamente modo di pronunciarsi in merito all’utilizzo delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale.
Il caso riguardava un incidente stradale a seguito del quale aveva perso la vita un uomo; la moglie e la figlia chiedevano il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del loro congiunto.
La sentenza di primo grado veniva impugnata presso la Corte d'Appello di Salerno che, riformando parzialmente la decisione, riliquidava in aumento la somma determinata dal Tribunale di Nocera Inferiore. Avverso la seconda pronunzia, gli eredi proponevano ricorso in Cassazione, lamentando la mancata applicazione delle tabelle di Milano nella determinazione del risarcimento del danno.
È noto che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale, la soluzione comunemente accolta è quella di fare ricorso al sistema delle tabelle. Oltre alla giurisprudenza, infatti, lo stesso legislatore ha fatto ad esse espresso riferimento, ad esempio, con il d.lgs. n. 209 del 2005, introducendo, in tema di responsabilità civile da circolazione stradale, la tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti.
In assenza di disposizioni di legge che stabiliscano l'obbligo di fare riferimento a specifiche tabelle normativamente determinate, per evitare che abbia luogo una valutazione secondo equità che possa sfociare in arbitrio e in eterogeneità di pronunce tra i vari tribunali, il giudice fa solitamente ricorso alle tabelle elaborate all’interno del Tribunale in cui opera, fondate sulla media dei precedenti del medesimo. Tale prassi è stata avallata dalle stesse Sezioni Unite nei limiti in cui, nell’avvalersi di queste tabelle, il giudice operi un’adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, valutando in modo complessivo l’effettivo tenore delle sofferenze fisiche e psichiche patite dal danneggiato, al fine di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Le tabelle che, nel corso del tempo, sono andate assumendo maggior rilievo sono quelle del Tribunale di Milano, le quali fanno riferimento alla media dei risarcimenti stabiliti dai vari tribunali e contengono i parametri più idonei ad evitare ingiustificate disparità di trattamento che finirebbero per contrastare con l'art. 3 comma 2 Cost. La stessa Corte di Cassazione ha affermato che le tabelle di Milano sono quelle più condivisibili a livello nazionale, in quanto costituiscono lo strumento idoneo a consentire al giudice di compiere la valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. in caso di lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%).
Per lungo tempo la giurisprudenza ha escluso la necessità per il giudice di motivare in ordine all'applicazione delle tabelle in uso presso il proprio tribunale, dovendo, al contrario, fornire adeguata motivazione se avesse deciso di avvalersi di tabelle in uso presso altre sedi.
Inoltre, poiché la quantificazione del danno non patrimoniale è inevitabilmente caratterizzata da approssimazione, si sosteneva che una decisione di questo genere potesse essere sottoposta a controllo di legittimità solo ed esclusivamente per vizio di motivazione, ossia in caso di assoluta mancanza di giustificazione, di macroscopico scostamento dai dati di comune esperienza o di palese contraddittorietà delle argomentazioni della motivazione.
Tuttavia, negli ultimi anni la giurisprudenza ha mutato tale orientamento in modo radicale, ravvisando una violazione di norma di diritto, censurabile ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., nei casi in cui il giudice di merito avesse omesso di adottare le tabelle di Milano in favore di altre, comprese quelle precedentemente adottate presso il suo ufficio giudiziario.
A questo proposito si è precisato che le tabelle milanesi devono essere prese come riferimento dal giudice sia per la liquidazione del danno non patrimoniale, sia come criterio di confronto e verifica rispetto alla somma di ammontare inferiore a cui il giudice sia diversamente pervenuto; una motivazione che non dia conto delle ragioni che hanno condotto a stabilire un risarcimento sproporzionato rispetto a quello che ne sarebbe derivato applicando le tabelle di Milano è da ritenere incongrua.
La giurisprudenza ha comunque affermato che i valori medi indicati nelle tabelle di Milano costituiscono un mero criterio guida, non una normativa di diritto: il giudice non è vincolato e può - anzi, deve - adeguarlo alla fattispecie concreta. Infatti, il valore indicato nelle tabelle di Milano porta a considerare una personalizzazione media del danno, ossia il valore del danno che una persona in media subisce come conseguenza di quello specifico pregiudizio. Ma non tutti i soggetti risentono dello stesso tipo di danno allo stesso modo: una personalizzazione del danno consente al giudice, attraverso una valutazione equitativa, di adeguare le tabelle milanesi al caso concreto per risarcire il danno nella sua piena unitarietà; bisogna puntare a risarcire il pregiudizio concretamente subito, al di là di ciò che prevede la tabella in sé (tra le più recenti, Cass. Civ., sez. III, sent. n. 2461/2020).
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione si è espressa con l’ordinanza n. 8468/2020 accogliendo il ricorso. La Suprema Corte ha affermato che i criteri equitativi adottati dal giudice devono essere idonei a consentire una valutazione equa, che sia cioè adeguata e proporzionata avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, in ragione della personalizzazione del danno. I giudici di merito, invece, nel liquidare il danno non patrimoniale subito iure proprio dalle ricorrenti in base ad un “apprezzamento orientato sulla natura del fatto causativo e della consistenza del patema delle attrici”, senza fare alcun riferimento alle tabelle di Milano, hanno disatteso questo principio. La Cassazione ha, di conseguenza, cassato la sentenza e rinviato il giudizio per una nuova valutazione.


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