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Chi va al ristorante ha diritto di portare a casa i residui di cibo?

Chi va al ristorante ha diritto di portare a casa i residui di cibo?
Secondo la Cassazione, il fatto di poter portare a casa gli avanzi di cibo dal ristorante rappresenta regola comunemente accettata nella civile convivenza.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29942 dell’8 luglio 2014, ha affrontato incidentalmente la questione relativa alla possibilità, quando siamo al ristorante, di portare a casa la cosiddetta “doggy bag”, vale a dire i residui di cibo, avanzati dalla cena.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trento aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale un soggetto era stato condannato per il reato di “ingiuria” (art. 594 c.p., ora depenalizzato), commesso nel corso di un diverbio con i gestori dell’albergo di cui era ospite e di cui aveva lamentato l’insufficiente qualità del servizio.

La Corte d’appello, aveva, invece, riformato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva condannato l’imputato stesso per il reato di “diffamazione a mezzo stampa”, ritenendo che le analoghe lamentele manifestate al giornale locale e da quest’ultimo pubblicate, erano espressione del “legittimo esercizio del diritto di critica”.

Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Osservava il ricorrente, in particolare, che la Corte d’appello, nel condannarlo per “ingiuria”, aveva errato, in quanto non gli aveva riconosciuto la causa di esclusione della punibilità della “provocazione”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dare, almeno parzialmente, ragione all’imputato.

Evidenziava la Cassazione, in proposito, che la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato le ragioni per cui l’utilizzo delle medesime espressioni nei due diversi contesti (all’interno del ristorante e nell’articolo di giornale) “dovesse portare a differenti conclusioni in ordine alla valutazione della penale rilevanza della condotta dell’imputato”, precisando che, nei confronti dell’albergatore, l’imputato non si era limitato a criticare il servizio di ristorazione, ma aveva aggredito verbalmente l’albergatore stesso.

La Cassazione, invece, riteneva di dover accogliere le argomentazioni svolte dal ricorrente circa il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità della “provocazione”, dal momento che la condotta ingiuriosa era stata, effettivamente, una reazione immediata ai disservizi subiti dall’imputato ed all’imposizione di regole (divieto di portare a casa i residui di cibo e riempire la propria borraccia dalla bottiglia d’acqua servita a tavola), che erano state ragionevolmente ritenute “pretestuose e ingiuste” dall’imputato.

Precisava la Cassazione, sul punto, che tale fattispecie integrava, in effetti, la “provocazione”, di cui all’art. 599 c.p., comma 2, in quanto “il fatto ingiusto altrui può essere costituito anche dalla lesione di regole comunemente accettate nella civile convivenza”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’imputato, annullando la sentenza impugnata, “per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’articolo 599 c.p., comma 2 avendo agito nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui”.


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