Il secondo comma, poi, precisa che alla stessa pena prevista per la rapina propria – che, nello specifico, consiste nella reclusione da cinque a dieci anni e nella multa – soggiace chi commette rapina c.d. impropria, cioè chi adopera violenza minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.
Emerge quindi che, affinchè il risulti integrato il delitto di rapina, è necessario accertare il dolo specifico del reo, che deve aver agito per procacciarsi un ingiusto profitto.
Circa la corretta interpretazione di questo profitto ingiusto, tuttavia, si registra un contrasto tra dottrina e giurisprudenza.
In particolare:
- la giurisprudenza è costante nel ritenere che lo sperato profitto possa avere indifferentemente natura patrimoniale oppure non patrimoniale e che, dunque, la cosa oggetto di impossessamento possa avere un valore prevalentemente affettivo (cfr., ex multis, Cass., n. 23177 del 16 aprile 2019 oppure Cass., n. 18977 del 14 maggio 2021);
- in dottrina, invece, prevale l’opposta opzione ermeneutica, ancorata allo scopo di lucro che deve necessariamente caratterizzare l’azione criminosa e perciò alla natura esclusivamente patrimoniale del profitto cui mira l’autore del reato di rapina.
Per la Suprema Corte, segnatamente, deve ritenersi integrato il delitto di rapina di cui all’art. 628 co. 1 c.p. nel caso in cui un soggetto sottragga con violenza il telefono al partner al fine di procurarsi un ingiusto profitto consistente nella lettura dei messaggi.
Il caso di specie, in particolare, riguardava un uomo condannato, sia in primo che in secondo grado, per i reati di rapina impropria, lesioni e violenza privata per essersi impossessato violentemente del telefono della compagna. Avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello l’imputato aveva dunque proposto ricorso e la vicenda era così giunta al vaglio della Suprema Corte, la quale, nel ritenere il ricorso manifestamente infondato, ha ribadito ancora una volta il costante orientamento giurisprudenziale sul punto.