Normalmente, la decisione da parte del datore di lavoro di procedere al
licenziamento di un proprio dipendente è basata su ragioni serie o comunque significative. Tuttavia, in certe situazioni, un lavoratore può essere
licenziato anche per motivi non gravi.
Si tratta comunque di ipotesi piuttosto limitate, dal momento che la regola generale prevede il divieto per il datore di lavoro di licenziare senza una motivazione valida. La legge stabilisce infatti che il licenziamento può avvenire per giusta causa, cioè per un comportamento così grave del dipendente da rendere impossibile il proseguimento del rapporto di lavoro, oppure per giustificato motivo, che può essere soggettivo, quando legato a un comportamento meno grave del dipendente, od oggettivo, quando legato a necessità aziendali, come ad esempio motivazioni economiche.
Tuttavia, esistono casi in cui il licenziamento può avvenire anche per motivi meno gravi.
Sul punto, rileva una sentenza della
Corte di Cassazione del 2017, la quale chiarisce quando un motivo non grave o futile possa giustificare l'interruzione anticipata del rapporto di lavoro.
Preliminarmente, è opportuno precisare che le motivazioni futili e non gravi non sono di per sé sufficienti a giustificare un licenziamento, né in termini di giusta causa né di giustificato motivo (soggettivo ed oggettivo).
Quanto alla nozione di
giusta causa, ai sensi dell’art.
art. 2119 del c.c., la stessa fa riferimento a comportamenti talmente gravi da non permettere la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno temporaneamente. A tal proposito, la Corte di Cassazione è intervenuta, con la sentenza n. 11516 del 2003, fornendo un’ulteriore specificazione in ordine alla nozione di giusta causa. La Suprema Corte ha affermato che la giusta causa è rappresentata da un'inadempienza così grave da rendere inadeguata qualsiasi sanzione diversa dal licenziamento.
Per quanto riguarda invece il giustificato motivo soggettivo, si tratta di un'inadempienza del lavoratore sufficientemente grave da giustificare l'interruzione unilaterale del rapporto di lavoro, ma non così grave da rendere necessario il licenziamento immediato.
Il
giustificato motivo oggettivo, invece, si riferisce a ragioni legate all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro o al funzionamento dell'azienda, come stabilito dall'art. 3
Norme sui licenziamenti individuali. Ad esempio, se la produzione in un reparto cala drasticamente e l'azienda è costretta a chiuderlo, il licenziamento dei lavoratori impiegati in quel reparto sarebbe giustificato.
In ogni caso, qualora un lavoratore impugni il licenziamento, la valutazione circa la validità della motivazione addotta dal datore di lavoro sarà comunque di competenza del giudice, il quale dovrà appunto stabilire se la motivazione è così grave da non lasciare alternative al licenziamento. Qualora infatti il lavoratore riesca a dimostrare l’illegittimità del licenziamento, in alcuni casi avrà diritto al cd.
repêchage, ossia il diritto ad essere reintegrato. Al riguardo, rileva una recente sentenza della
Corte Costituzionale, per la cui disamina si rimanda al seguente
articolo.
Comportamenti non gravi come ritardi di pochi minuti, non completare un lavoro nei tempi richiesti, usare il telefono durante l'orario di lavoro, bestemmiare o usare un linguaggio inappropriato, non costituiscono di per sé ragioni sufficienti per un licenziamento.
Tuttavia, se tali comportamenti si ripetono, possono diventare una giusta causa di licenziamento, come spiegato dalla Cassazione nella sentenza n. 2007 del 2017. La recidività, però, non è sufficiente da sola; è necessario che il comportamento non grave sia stato già sanzionato dal datore di lavoro.
Ad esempio, un dipendente che arriva in ritardo di 10 minuti un paio di giorni a settimana potrebbe essere richiamato dal datore di lavoro. Se, nonostante i richiami, il comportamento persiste, si può arrivare al licenziamento. Il dipendente non può difendersi sostenendo che è già stato sanzionato per i ritardi precedenti; la Cassazione, infatti, ha precisato che “
Il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato dopo l'irrogazione di una serie progressiva di sanzioni conservative è comunque proporzionato e, quindi, legittimo anche se sanziona una condotta, peraltro reiterata, punibile solo, a norma del contratto collettivo di riferimento, con sanzioni disciplinari di tipo conservativo.” Per cui, la reiterazione di comportamenti sanzionati con provvedimenti disciplinari autonomi può portare alla perdita di fiducia da parte del datore di lavoro, giustificando così il licenziamento.