Ma procediamo con ordine.
Cosa sono i coefficienti di cui parliamo?
Si tratta di indicatori che, nel nostro caso, ci permettono di stabilire la rivalutazione delle retribuzioni ai fini della determinazione della base annua pensionabile delle anzianità anteriori al 31.12.1995 (31.12.2011 per chi al 31.12.1995 aveva 18 anni di contribuzione).
Come sappiamo, infatti, in materia pensionistica si contrappongono storicamente due modelli:
- il modello retributivo, in cui la pensione è commisurata alle retribuzioni percepite negli ultimi anni di attività;
- il modello contributivo, in cui la pensione è commisurata, appunto, ai contributi accantonati. In particolare, i contributi versati - che costituiscono il c.d. montante - vengono convertiti in rendita attraverso coefficienti di trasformazione, a loro volta calcolati in base dell'età di pensionamento e della conseguente aspettativa di vita.
Ma torniamo al sistema retributivo: esso, infatti, pur non essendo più in vigore dal 2012, viene ancora impiegato con riferimento ai lavoratori in possesso di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995.
Si tratta di concetti che possono apparire complessi; per questo cercheremo di illustrarli in maniera chiara e diretta.
Ora, il sistema retributivo si fonda essenzialmente su due fattori:
- il numero degli anni di contribuzione
- la media delle retribuzioni lorde aggiornate e riferite agli ultimi anni di attività.
Come si calcola la pensione nel sistema retributivo?
La pensione che il lavoratore andrà a percepire ammonta al 2% del reddito pensionabile per ogni anno di contribuzione; facendo qualche esempio, con 25 anni di contributi si ha diritto al 50% della media delle ultime retribuzioni, con 35 anni di contributi si ha diritto al 70%, per arrivare all'80% se si hanno 40 anni di contribuzione.
Oltre i 40 anni di contribuzione, le aliquote di rendimento (cioè quei parametri che, nel sistema retributivo, servono a determinare la prestazione pensionistica sulla base degli ultimi stipendi del lavoratore) diminuiscono progressivamente con l’aumento della retribuzione pensionabile (cioè quel valore che, sempre nel sistema retributivo, “trasforma” in pensione le retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro).
Quota A e quota B: cosa sono?
A questo punto, dobbiamo anche precisare che la rendita pensionistica si divide in due distinte componenti: la quota A e la quota B. Vediamo di cosa si tratta:
- la quota A è rappresentata dall'importo relativo alle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 1992. Per i lavoratori dipendenti la quota A si calcola in base alla media delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 anni precedenti il pensionamento;
- la quota B, invece, riguarda le anzianità maturate dal 1° gennaio 1993 fino al 31 dicembre 2011 - per chi abbia almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 - oppure fino al 31 dicembre 1995 - per chi, viceversa, al 31 dicembre 1995 abbia meno di 18 anni di contributi. La base pensionabile della quota B viene calcolata a partire dalla media annua delle retribuzioni degli ultimi 10 anni se il lavoratore ha almeno 15 anni di contributi al 31 dicembre 1992; altrimenti (cioè se il lavoratore alla data del 31 dicembre 1992 ha meno di 15 anni di contributi), si determina sulla base della media degli ultimi cinque anni di retribuzione anteriori al 1993 più quelle percepite dal 1° gennaio 1993 fino a quando il lavoratore va in pensione.
Le somme utilizzate per il calcolo devono essere, però, rivalutate tenendo conto dell'aumento del costo della vita, quindi dell'inflazione, con esclusione dell'anno di decorrenza e di quello immediatamente precedente.
Per quest’anno, ovvero dal 1° gennaio 2024, la rivalutazione per le pensioni è stata fissata, appunto, a un +5,4%. Si tratta di una percentuale calcolata sulla base della variazione degli indici dei prezzi al consumo, elaborati dall'Istat il 7 novembre 2023 con riferimento all'anno 2022.