L'opposizione all'esecuzione, infatti, apre una sorta di incidente nel processo esecutivo, che dà luogo ad un autonomo giudizio di cognizione con cui si può contestare il diritto della parte istante ad agire in executivis attesa
- l'inesistenza esistenza o la persistenza del titolo esecutivo;
- l'inidoneità soggettiva del titolo esecutivo;
- l’impignorabilità assoluta dei beni;
- l’inesistenza del sotteso diritto di credito.
Tanto premesso, occorre chiedersi se, successivamente alla notifica dell’atto di citazione (nel caso di opposizione c.d. preventiva) o al deposito del ricorso (in caso di opposizione c.d. successiva), possano formularsi anche domande ulteriori.
Ebbene, la Suprema Corte, con sentenza n. 9226 del 22 marzo 2022, ha affrontato proprio il tema dell’ammissibilità delle domande ed eccezioni nuove rispetto a quelle formulate nell’atto introduttivo dell’opposizione all’esecuzione, optando per la soluzione negativa e così ponendosi in linea di continuità con i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Nella motivazione della pronuncia citata, infatti, si richiamano alcuni illustri precedenti (tra cui, ex multis, Cass. Sez. Un. n. 19889/2019) e si ribadisce che “non sono ammesse, nelle opposizioni esecutive, domande nuove ed ulteriori rispetto a quelle avanzate con l’atto introduttivo”. Del pari, deve escludersi che l’opposizione all’esecuzione possa essere accolta sulla base di motivi diversi da quelli posti alla sua base e rilevati di ufficio dal giudice dell’opposizione stessa, anche se tali da comportare la caducazione del titolo esecutivo o, comunque, l’insussistenza del diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata.
Il caso di specie, in particolare, riguardava – con esclusivo riferimento agli aspetti ora di rilievo – l’opposizione all’esecuzione proposta da due soggetti avverso il precetto con il quale gli veniva intimato il pagamento di una somma di oltre 90.000,00 euro e che era stato loro notificato da una società di recupero crediti in rappresentanza di altra società. Il titolo esecutivo (un decreto ingiuntivo), nello specifico, era originariamente stato emesso in favore di una banca, la quale poi aveva ceduto il credito alla società opposta.
L’opposizione, tuttavia, era stata rigettata dal Tribunale.
I debitori intimati ne avevano allora impugnato la sentenza, deducendo – tra le altre cose – che i crediti consacrati nel titolo esecutivo non erano stati effettivamente ceduti dalla banca originaria creditrice alla società cessionaria opposta, la quale dunque difettava di legittimazione.
La Corte d’appello, tuttavia, aveva ritenuto inammissibile questa censura in quanto relativa a questioni ed eccezioni nuove, non oggetto dell’opposizione iniziale.
Gli intimati avevano allora proposto ricorso per cassazione, dolendosi dell’erroneità della sentenza di secondo grado laddove, nel ritenere inammissibile il motivo d’appello, ha ritenuto che si fosse effettivamente realizzata la cessione del credito.
Nel rilevare l’infondatezza di tale censura, tuttavia, la Cassazione ha operato alcune importanti decisioni.