Il testo, approvato dalla Commissione, dovrà comunque essere valutato dalle Camere, insieme al resto del D.L. “Omnibus” in cui è inserito. Esso prevede che i contribuenti - titolari di partite IVA - i quali aderiranno al concordato preventivo biennale potranno dichiarare tra il 5% e il 50% del reddito precedentemente non dichiarato e dei debiti fiscali accumulati tra il 2018 e il 2022, pagando una tassa forfettaria compresa tra il 10% e il 15%, senza essere soggetti ad altri oneri. In questo modo, essi potranno regolarizzare la propria situazione contributiva. Tuttavia, questa misura avrà un impatto sulle finanze statali.
Coloro che aderiranno al meccanismo della sanatoria dovranno, quindi, dichiarare una parte dell’imponibile non pagato. La percentuale da dichiarare varierà in base al voto Isa, ossia all’indice di affidabilità fiscale relativo alle partite IVA. Infatti, si prevede che i contribuenti con voto Isa massimo dovranno dichiarare il 5% dell’imponibile evaso, mentre chi ha un voto Isa minimo dovrà dichiarare fino al 50%.
Sui redditi dichiarati in forza del meccanismo di sanatoria, non saranno dovute né le tasse precedentemente evase, né interessi o sanzioni.
Al loro posto, sarà invece applicata un'aliquota fissa, che varierà anch'essa in base al voto Isa:
- 10% per chi ha un voto Isa di 8 o superiore;
- 12% per chi ha un voto compreso tra 6 e 8;
- 15% per chi ha un voto inferiore a 6.
La nuova sanatoria persegue due scopi principali. Da un lato, mira a incentivare l'adesione al concordato preventivo biennale, una misura che consente alle partite Iva di concordare in anticipo il pagamento delle imposte per i due anni successivi.
Dall’altro lato, come avviene con ogni condono fiscale, lo Stato spera di recuperare parte dei propri crediti, invitando i contribuenti morosi a regolarizzare la propria posizione.
Tuttavia, anche questa norma comporta un costo per lo Stato. Infatti, parte delle imposte evase, che la sanatoria si propone di recuperare, era già stata inclusa nelle previsioni di bilancio. Si parla di una cifra inferiore al miliardo di euro, che il Governo Meloni aveva già stimato come difficilmente recuperabile.